La diffidenza del Cavaliere: bene solo Giustizia e Sviluppo

È perplesso sulla squadra ma elogia Orlando e Guidi. Poi avverte il premier: niente scherzi sulle riforme. Dubbi per i numeri troppo risicati in Parlamento

La diffidenza del Cavaliere: bene solo Giustizia e Sviluppo

È a qualche appunto scritto di rientro a Arcore che il Cavaliere affida preoccupazioni e perplessità sulle ultime mosse di Matteo Renzi. Non solo una squadra di governo che lo convince poco, ma pure quei rumors che danno per chiuso un accordo per posticipare l'approvazione della nuova legge elettorale e farla in parallelo con le riforme istituzionali. Un rinvio, quindi, di qualche anno proprio come chiede da giorni quell'Angelino Alfano che ieri è stato il vero vincitore della lunga trattativa sul governo.

Non entra nel merito dei singoli nomi Silvio Berlusconi e a chi ha occasione di sentirlo ripete che l'opposizione di Forza Italia «sarà responsabile» e che «ogni ministro sarà giudicato in base al suo operato». Lo scetticismo verso la squadra che Renzi porterà con sé al governo è però palpabile. Con due sole eccezioni. Quella di Federica Guidi al ministero dello Sviluppo economico, di certo un nome che il Cavaliere apprezzerà visti i buoni rapporti e la frequentazione non solo con lei ma anche con il padre Guidalberto, per un decennio storico vicepresidente di Confindustria. E quella di Andrea Orlando alla Giustizia, un esponente del Pd considerato comunque «moderato». Nonostante le tante perplessità, però, l'ex premier non usa toni tranchant e stoppa l'insoddisfazione di chi ha occasione di sentirlo a sera con un «vedremo». «Aspettiamo il governo alla prova di fatti», si limita a dire un Berlusconi che più di un interlocutore racconta tra il preoccupato e il diffidente.

Il timore, infatti, è che possa avere ragione chi nel partito lo invita ormai da giorni a guardarsi da un Renzi che da quando siederà a Palazzo Chigi cambierà prospettiva. Non c'è stato premier, infatti, che non abbia fatto l'impossibile pur di restare al suo posto, in qualsiasi situazione e con qualunque difficoltà. L'ipotesi, dunque, che il segretario del Pd punti davvero al 2018 e sia pronto a congelare la nuova legge elettorale (che avvicinerebbe le urne nei fatti) è dunque concreta. Non a caso, i bene informati raccontano che Alfano avrebbe ottenuto garanzie in questo senso, cosa che il Cavaliere non vede affatto di buon grado. Se si cambiano i termini dell'accordo sulle riforme - è il senso del suo ragionamento - allora il patto salta e Renzi se ne dovrà assumere la responsabilità. Non è un caso che Giovanni Toti assicuri sì «opposizione responsabile» ma chieda anche di «fare subito» la nuova legge elettorale da non «legare ad altre riforme».

L'atteggiamento dei capigruppo di Camera e Senato di Forza Italia nei commenti ufficiali è dunque cauto. «Nessun giudizio, aspettiamo Renzi alla prova dei fatti», dice Renato Brunetta. Mentre Paolo Romani fa gli «auguri» al neopremier in attesa di «vedere il programma». Qualche perplessità in più la manifestano Mariastella Gelmini, Augusto Minzolini o Michaela Biancofiore. E forse pure Berlusconi che in privato ieri insisteva molto nel ripetere che Renzi è «il terzo premier consecutivo senza investitura popolare», una sorta di «chiusura del cerchio» di quello che il Cavaliere chiama «il colpo di Stato dell'estate 2011».

Incontrando nel pomeriggio i 200 volontari di Missione Azzurra, Berlusconi punta invece il dito sui numeri risicati del governo. «Renzi ha la maggioranza nel suo partito - dice - ma non in Parlamento dove molti deputati Pd sono bersaniani e dalemiani». E chissà che non sia casuale l'invito della Biancofiore al neopremier di pensare all'ipotesi di «formare una Grosse Koalition alla tedesca con Forza Italia».

Salta, invece, l'intervento del Cavaliere dal palco allestito in piazza San Lorenzo in Lucina. Alla prima manifestazione organizzata bypassando la struttura del partito i militanti presenti erano, per usare un eufemismo, piuttosto pochini.

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