Troppo presto per emettere sentenze. L'avvocato Giulia Bongiorno è il difensore di Raffaele Sollecito, assolto in appello per l'omicidio di Meredith Kercher dopo una prima condanna basata proprio su un esame del Dna. «È un indizio, non una prova schiacciante», dice il legale in base all'esperienza e alla presunzione di innocenza prevista dalla Costituzione.
Lei è stata messa a capo del «partito degli innocentisti». Si ritrova in questo ruolo?
«Io non dico che quel signore sia innocente, ma neppure che è colpevole senza ombra di dubbi. Non sono il suo avvocato e non mi pronuncio. Contesto con forza la campagna mediatica che ha già condannato quell'uomo come assassino. Per quanto lo riguarda siamo soltanto all'inizio dell'indagine».
All'inizio? Sono passati quasi quattro anni dal delitto.
«Ma quest'uomo è coinvolto soltanto da domenica sera, in questi giorni è stato tenuto in isolamento, la difesa non ha potuto esaminare a fondo gli argomenti dell'accusa. Siamo in una fase molto precoce, al momento l'unico materiale probatorio è quello offerto dall'accusa. Invece un ministro della Repubblica, Alfano, si è permesso di twittare che era stato individuato l'assassino di Yara. Queste cose mi fanno rabbrividire».
Ha fiducia o no nella prova del Dna?
«Esiste un gigantesco equivoco: che il Dna sia la fotografia di una situazione. Non è così. Non è una foto, ma un qualcosa che viene estratto dagli indumenti e porta a creare un elettroferogramma. Una traccia che presenta dei picchi, come un elettrocardiogramma. E come tale dev'essere interpretato, in un modo o nell'altro».
Quindi quell'esame va contestualizzato?
«Dipende tutto dalla qualità e dalla quantità del Dna prelevato. Al momento non si è nemmeno capito se si tratti davvero di gocce di sangue. Il professor Novelli, il genetista consulente della procura che è bravo ed esperto, ha detto che la quantità è giusta e la qualità buona. Ma è il perito dell'accusa. Che cosa ne pensa l'esperto nominato dall'indagato già trasformato in colpevole? Ancora non c'è. Consiglio ai familiari di sceglierne subito uno».
Le corrispondenze sembrano non lasciare dubbi.
«Ci sono troppi se in questa vicenda. Per condannare un colpevole occorre una prova o una pluralità di indizi gravi, precisi e concordanti. Qui il percorso da fare è ancora lungo».
Eppure il procuratore generale di Brescia ha detto l'altro giorno che «il caso è chiuso».
«Per ora siamo al primo indizio, per quanto grave, neppure esaminato dalla difesa. Ho avuto tante sorprese da processi già dichiarati chiusi. A volte quando ho visto le prove dell'accusa mi sono messa le mani nei capelli... C'è la tendenza ad attribuire al Dna un valore assoluto trascurando le tecniche di investigazione tradizionali. Ma ripeto, non conosco gli atti di questo caso e non ho elementi specifici per giudicare».
Bossetti ha taciuto in due interrogatori e ha parlato ieri dicendosi innocente.
«Non è che chi tace è colpevole: risponde dopo aver visto le prove. È indiziato da radio, tv e da un ministro della Repubblica, credo sia un po' disorientato. Prima di mettere qualcosa a verbale che resta scritto per sempre, meglio vedere gli atti. E poi molti avvocati preferiscono che l'assistito parli con il gip, che è giudice terzo, e non con il pm che è una delle parti».
Si sta aprendo un altro caso Meredith?
«In quella vicenda è pacifico che vi furono errori nella gestione del Dna, qui non so. L'unico elemento per cui Sollecito è stato condannato è un gancetto preso 46 giorni dopo il delitto da un ambiente in cui erano entrate e uscite un centinaio di persone. Un requisito per la buona qualità del Dna è effettuare il prelievo in ambiente incontaminato: quello era stra-contaminato».
Il corpo di Yara è rimasto tre mesi in un campo incolto: è un ambiente incontaminato?
«Non sta a me rispondere».
È possibile inquinare il Dna?
«Negli Stati Uniti le statistiche sugli errori giudiziari indicano che una delle cause maggiori è la cattiva gestione del Dna prelevato».
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