E Maroni spiazza Silvio sul patto per le Politiche

MilanoNon più «barbari sognanti» maroniani contro i fedelissimi di Bossi, ora la spaccatura nella Lega passa per l'appoggio da dare al ritorno in campo di Berlusconi. Che ha mandato all'aria il tavolo apparecchiato con la candidatura di Roberto Maroni alle Regionali in Lombardia, magari in ticket con Mariastella Gelmini e da scambiare con ritorno del Carroccio all'alleanza con il Pdl alle Politiche. Un quadretto andato in frantumi nell'incontro dell'altra sera a palazzo Grazioli, quando Maroni ha proposto a Berlusconi un patto elettorale in cambio di un suo passo indietro e un ruolo da «padre nobile». Difficile, ha spiegato il segretario leghista, convincere i militanti a votare per un'alleanza che riproponga protagonisti di una politica già vista. L'unico modo, gli ha risposto il Cavaliere, per sbancare in regioni moderate come Veneto e Lombardia che consentirebbero di giocarsi il Senato contro un centrosinistra che dà per fin troppo scontata la vittoria. Non solo. Perché senza accordo, ha detto Berlusconi, a cadere sarebbero immediatamente le giunte leghiste di Veneto e Piemonte. Diktat che Maroni ha rispedito al mittente con un tweet: «La minaccia di far cadere le giunte di Veneto e Piemonte? Una barzelletta. Possibile sostegno della Lega a Monti? Idem. Ma chi è questo B?».
Ma la partita delle Politiche si intreccia con la candidatura di Maroni in Lombardia. Complicata dallo strappo di Cl che per bocca del capogruppo pdl all'europarlamento Mario Mauro ha messo nel mirino Berlusconi. «Posso dire con chiarezza - ha twittato Roberto Formigoni - che non è stato firmato, né è alle viste alcun accordo tra Pdl e Lega per candidare Maroni». Ultimo disperato tentativo di difendere Gabriele Albertini. «Abbiamo ottimi sondaggi - racconta un colonnello leghista -. Maroni può vincere. Chi vuole venire con noi è bene accetto, ma il nostro candidato è lui». Se ne parlerà lunedì in un consiglio federale che per la Lega si annuncia tesissimo. Perché non c'è dubbio che Maroni abbia sempre svolto un ruolo da pontiere verso i berlusconiani. E che Berlusconi stesso abbia telefonato direttamente a Umberto Bossi, incassandone l'appoggio. Il Senatùr smentisce pressioni: «Non è arrivata nessuna minaccia. Berlusconi è una persona perbene». Ma sull'eventuale alleanza Bossi glissa: «Non so se ci sono le condizioni. Se ne occupa Maroni».

E allora che succederà quando al consiglio Maroni e Bossi prospetteranno la possibilità di una nuova intesa? Suscitando la reazione dei falchi come Matteo Salvini («se fosse per me l'alleanza non si farebbe») o dei plenipotenziari veneti Flavio Tosi e Luca Zaia che non vedono l'ora di scalare il partito? E qui è da vedere quanto Maroni possa desiderare una poltrona da governatore in Lombardia, dovendo così lasciare il partito in mano al «serenissimo» Zaia. «Un sindaco come Tosi - ha detto Salvini - potrebbe fare il candidato premier. E prendere voti anche al Sud». Non Maroni. Aria da resa dei conti.

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