E ora i soliti "corvi" rossi volano sul lutto di Genova

Anziché preoccuparsi dei perché del disastro c'è chi già scarica le colpe sulla società capitalista. Togliendo la voce pure a un prete

E ora i soliti "corvi" rossi  volano sul lutto di Genova

Dopo l'ora della tragedia è arrivata, come di regola accade, l'ora degli sciacalli. Quando le vittime d'uno spaventoso incidente come quello della torre piloti di Genova diventano il macabro strumento di sfoghi demagogici, della consueta accusa alla società -la società capitalista- come colpevole d'ogni nequizia. Non vorrei essere fraintreso. Le inchieste sulle cause della catastrofe devono essere severe, e altrettanto severo l'accertamento delle responsabilità. Conosceremo a suo tempo -troppo tempo temo- il responso dei tecnici e della magistratura. Mi azzardo a dire, da profano, che l'inchiesta è sostanzialmente incentrata sul comandante della Jolly Nero, sul pilota che l'affiancava, forse anche sul personale di macchina della grande nave. Certo si può allargare la visuale denunciando l'inadeguatezza del porto per i movimenti dei giganti che lo percorrono: ma si tratta di rimettere a nuovo uno scalo marittimo gigantesco. Nel quale, così com'è, si svolge comunque un traffico intenso di porta container. Non che si voglia sbrigativamente liquidare la pratica: ma l'errore umano resta l'ipotesi prevalente in una serie di cause e concause sulla quale si chineranno i periti.

Genova ha subito una ferita tremenda, doverosi il dolore e il lutto. Ma i latrati degli sciacalli e i voli dei corvi proprio non ci volevano. E invece sono arrivati. Già sapete, immagino, cosa è successo durante la cerimonia ufficiale che doveva esprimere l'angoscia della città e onorare le vittime. Al cappellano del lavoro Mario Molinari è stato strappato di mano il microfono, alcuni portuali si sono impadroniti del podio e hanno trasformato la vicenda straziante della torre abbattuta in una vicenda che riguarda loro, i portuali, e mette sotto accusa l'intera struttura economica italiana: in sostanza auspicando e rivendicando -nonostante tutto- una società comunista. Sono stati letti proclami anche contro i sindacati e contro le autorità impegnate «nel loro teatrino».
Il profitto e gli interessi prevalgono sulla vita dei lavoratori. E poi allusioni «a muri omertosi da abbattere» perché il porto di Genova non diventi il porto dei misteri. Questa volta la protesta non è venuta dai grandi sindacati, è venuta dagli eversori dei centri sociali e di organizzazioni affini. Il linguaggio di chi ha scippato il lutto di Genova rievoca un estremismo d'altri e remoti tempi: che trovò a lungo nei portuali il suo braccio armato. Capo carismatico dei camalli fu Paride Batini, scomparso nel 2009: esaltatore dell'Urss, mai stanco d'invocare per l'Italia un destino economico e politico simile a quello dei Paesi satelliti di Mosca. Capeggiava i portuali quando divampò, nel 1960, la rivolta contro la celebrazione di un congresso del Msi -che era il quarto- e in realtà contro il governo Tambroni appoggiato dalla destra. In quella sommossa i portuali si distinsero -fui testimone dei fatti- per irruenza e per violenza. Dalla gestione corporativa e ideologica il porto di Genova fu condotto a un gravissimo declino.

Ma poi il capitalismo si prese la sua rivincite, l'Urss deflagrò, il Pci cambiò nome e anche Paride Batini si convertì ad una linea più moderata. Il porto rifiorì. Ci vuole la malafede settaria degli esaltati per descriverlo come una sorta di girone infernale nel quale vengono sacrificate al dio denaro le vite dei proletari. La strage di piloti diventa così una strage di camalli.

Questi vaneggiamenti hanno turbato una cerimonia che avrebbe dovuto essere composta, e hanno avallato gli allarmi di chi ci mette in guardia contro tumulti e ammazzamenti, se non si darà ascolto ai «rivoluzionari». Onore ai morti. Disonore agli sciacalli.

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