Adesso il peccato originale è la paura. Sì, Silvio Berlusconi temeva un sequestro di persona, frequente nella Lombardia degli anni ’70 ed era corso ai ripari chiedendo aiuto a Marcello Dell'Utri. Dell'Utri a sua volta mediò con Cosa nostra. Questo ci dice oggi la Cassazione nelle chilometriche motivazioni della sentenza con cui ha annullato la condanna a sette anni del senatore per concorso esterno in associazione mafiosa. Diciotto anni di indagini serrate, 18 anni di scavi da parte di più procure, 18 anni di piste investigative e suggestioni portano a questa disarmante verità: il Cavaliere era «vittima» di Cosa nostra e Dell'Utri, che lavorava per lui, cercò di tenere alla larga la piovra. In questi lunghissimi anni, veramente, ci avevano detto altro: ci avevano spiegato che i capitali mafiosi e solo quelli potevano illuminare le fortune del signore di Arcore e poi avevano ricamato sulla nascita di Forza Italia, con la benedizione dei padrini. Addirittura ci avevano dipinto Berlusconi e Dell'Utri come possibili mandanti esterni delle stragi. Adesso la fiction sull'asse Palermo-Arcore viene riscritta in vista del nuovo processo d'appello. Intendiamoci: Dell'Utri non è stato assolto e, anzi, dal punto di vista della Suprema corte la pena ipotetica che si profila all'orizzonte potrebbe persino essere più pesante. Ma tutto si gioca nel perimetro delle intimidazioni. L’imprenditore si sentiva minacciato da Cosa nostra, il suo collaboratore, palermitano doc, cercava gli agganci giusti per evitare amare sorprese. Altro che trame oblique e affari con la coppola. La Cassazione dà per accertato «un accordo di natura protettiva e collaborativa raggiunto da Berlusconi con la mafia per il tramite di Dell'Utri». Non solo. Per la Cassazione il Cavaliere pagò all'organizzazione criminale «cospicue somme» per garantire la propria sicurezza e quella della propria famiglia. Punto. Certo, per la Suprema corte è provato un episodio scioccante: l'incontro fra Berlusconi, accompagnato da Dell'Utri, e i boss mafiosi nel 1974. Il meeting avvenne negli uffici del Cavaliere e in quell'occasione Berlusconi incontrò boss del calibro di Bontade, Di Carlo, Teresi. Soprattutto quel giorno si decise, di far arrivare ad Arcore Vittorio Mangano, il famoso stalliere al centro di mille presunti intrighi e crimini. Va detto che il pg della Cassazione Francesco Iacoviello aveva espresso nella sua requisitoria, quasi un’ arringa pro Dell'Utri, forti dubbi su quel presunto meeting. E aveva anche fatto a pezzi il concorso esterno, il reato che non c’è nel codice. Per la Cassazione, invece, il faccia a faccia ci fu. Non solo: il concorso esterno è provato, eccome, ma si basa, par di capire, su quel ruolo di trait d’union per mettere al riparo il costruttore di Milano2.
Lo Stato allora stentava anche solo a riconoscere l'esistenza di Cosa nostra e ciascuno si arrangiava. Come poteva. Altro non c’è. O meglio, ci sarà un ulteriore passaggio in aula: la storia del pizzo al Cavaliere è ancora lontana dalla fine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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