Equitalia blocca Maradona davanti alla porta dell'hotel

Blitz in albergo dei segugi del fisco per notificare all'ex campione un avviso di mora di 39 milioni: "Sono perseguitato nel Paese delle tasse"

Diego Armando Maradona con la fidanzata Rocio Oliva
Diego Armando Maradona con la fidanzata Rocio Oliva

Milano - É bastato un attimo per capire che non erano cacciatori di autografi. I due signori in giacca e cravatta che lo hanno atteso ieri mattina all'ingresso del suo albergo milanese volevano effettivamente una firma di Diego Armando Maradona. Invece che una foto ricordo, però, gli hanno spiattellato davanti una ingiunzione di pagamento. Non erano fan del Napoli dello scudetto, ma segugi di Equitalia. Che danno la caccia da tempo ai trentanove milioni di euro che il pibe de oro fregò al fisco, inventandosi una residenza straniera.
Quei trentanove milioni per Equitalia continueranno a essere probabilmente una chimera, perché i beni di Diego non sono dentro i confini nazionali. Qualche briciola, però, forse adesso è finalmente a portata di mano. A attizzare Equitalia è stato infatti l'annuncio in grande stile della nuova iniziativa editoriale destinata a celebrare le imprese del più forte numero 10 di tutti i tempi: «Non sono un uomo comune», la raccolta di undici dvd comprensivi di intervista da parte di Gianni Minà, realizzata dalla Gazzetta dello sport in collaborazione con la Rai. É per lanciare la collana che Maradona è arrivato in Italia in questi giorni. Ad Equitalia si sono detti: non avrà mica fatto tutto gratis, Maradona. Così è partita la caccia ai compensi pattuiti da Diego con i suoi editori italiani. A questo serve l'agguato di ieri mattina: adesso Equitalia ha in mano un titolo esecutivo, con cui andare a pignorare alla fonte i pagamenti della Rai al campione argentino. D'altronde una legge obbliga la Rai - come tutte le amministrazioni pubbliche - ad avvisare per tempo il fisco prima di pagare a chicchessia somme superiori ai diecimila euro.
E Maradona di conti in sospeso ne ha veramente tanti, e tutti sanciti con sentenza. L'ultima, quella del febbraio scorso della Commissione tributaria centrale, quando il pibe aveva cercato di cavarsi dai guai mettendosi alla ruota di due suoi ex compagni di spogliatoio in quel Napoli stellare: Antonio de Oliveira Filho, noto al mondo come Careca, e Ricardo Rogerio de Brito alias Alemao, che erano ricorsi fino in Cassazione contro gli accertamenti fiscali. Troppo tardi, è stato detto in sostanza a Maradona, dovevi pensarci prima.
E così, a vent'anni dall'inizio di questo braccio di ferro, arriva la richiesta di conto. Lo scontro si trascinava da quando, nel 1992, il fisco aveva accusato Maradona, Careca e Alemao - e di rimbalzo il Napoli Calcio - di avere camuffato da cessione di diritti di immagine quelli che erano a tutti gli effetti stipendi sottobanco. Per Maradona, il circuito passava per la «Diego Armando Maradona Production Establishment», con sede a Vaduz in Liechtenstein, poi ribattezzata «Diarma Establishment»; per Careca e Alemao, su una limited di Londra chiamata Tug Sponsoring. Batti e ribatti, Careca e Alemao se la sono cavata. Invece sul loro capitano si sono abbattute cinque sentenze una dopo l'altra. Anche perché dietro il paravento dei contratti tra il Napoli e la società di Vaduz passavano una serie di benefit destinati direttamente e indubitabilmente a Maradona: l'affitto di una villa a Napoli, venti biglietti aerei all'anno per Buenos Aires, e persino le spese di trasloco da Barcellona .
Ieri mattina, il passato - quegli anni indimenticabili tra scudetti e guappi in una città impazzita per lui - si materializza nella hall del grande albergo.«Signor Maradona, por favor...». Lui, il pibe, reagisce malissimo. Firma.

Ma poi dirama un comunicato di fuoco: «È un altro spot pubblicitario: ho subito una persecuzione nel paese delle tasse. Ho regalato solo amore per la gente e spettacolo sportivo senza mai fare male a nessuno ma subendo cattiverie. È l'unica verità che presto tutti leggeranno nel libro che distribuirò nel mondo».

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