Stadi di proprietà, certo, e volontà di stroncare un fenomeno pericolosissimo anche per le casse dei club. L'Inghilterra ha attenuato - anche se non del tutto sradicato - il fenomeno hooligans grazie ad una signora che il calcio proprio lo disprezzava. Sotto il governo di Margaret Thatcher è stata introdotta la prima legge (Sporting Event Act, 1986) che vietava l'alcol all'interno, e nei paraggi, degli stadi. I governi successivi, seguendo la stessa linea repressiva, hanno avuto il merito di ripulire il calcio inglese (almeno quello d'élite) dalle frange teppiste. Così all'interno dei bellissimi impianti della Premier League sono vietati persino i comportamenti «allarmanti», non necessariamente violenti. Nel frattempo ampi poteri ai tribunali, sentenze per direttissima emesse già all'interno degli stadi, dove esistono camere di sicurezza che sono vere e proprie celle, sistemi video a circuito chiuso, steward pagati dai club e polizia a presidiare l'esterno. Semplicemente impensabile replicare in Inghilterra il desolante spettacolo dell'Olimpico. E non solo perché negli anni ogni forma di tifo organizzato è stata debellata. I club, che vivono anche dell'indotto da merchandising e ristorazione (il giorno della partita), non possono permettersi di cedere ad altri l'usufrutto di interi settori del «loro mercato».
Non conviene economicamente. Chi sgarra paga, ed è lo stesso club, vietando l'ingresso a vita (o denunciando i violenti), ad emettere verdetti in presa diretta. Dalla nascita della Premier League è stato redatto un protocollo, sottoscritto da tutti i club della massima serie, nel quale sono indicati i doveri dei club. Su come accogliere i tifosi ospiti, gestire le invasioni di campo, sedare le risse, addestrare i propri steward. Un vero e proprio manuale per la sicurezza negli stadi. Una voce di spesa che è interamente a carico dei club. Non è mai capitato, ma per chi non rispetta le direttive comuni sono previste sanzioni. Di natura economica in prima battuta (multe comminate dalla Premier alle società meno organizzate) fino a punti di penalizzazioni o retrocessioni d'ufficio. Non è mai successo, e non succederà. Perché alle società non conviene (economicamente) indugiare con il tifo violento.
In Spagna la responsabilità è sempre dei club che in questi anni hanno preso provvedimenti durissimi contro i tifosi: così ha fatto il Barcellona e così il Real Madrid, con trasferte agevolate e biglietti a metà prezzo ma in cambio di un'assoluta garanzia di comportamento dentro lo stadio, pena l'espulsione a vita. Cosa che è accaduta con il Villareal perché il lanciatore di banana è stato radiato dal club e non dalla federazione. Nessuna partita a porte chiuse finora.
In Italia il prezzo da pagare per mantenere l'ordine pubblico negli stadi è calcolato in 45 milioni di euro l'anno, completamente a carico della collettività. Se le società di Serie A e B contribuissero al prezzo della security se la caverebbero mediamente con poco: 230mila euro a testa. Un costo più che sostenibile, meno della retribuzione di 15 giorni lavorativi di Totti.
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