Fecondazione, il giudice ordina: sì alla diagnosi preimpianto

Fecondazione, il giudice ordina: sì alla diagnosi preimpianto

È già la seconda volta, e non sarà l'ultima, che i giudici si mettono di traverso e stoppano la legge 40 sulla procreazione assistita quando parla di diagnosi pre-impianto. Dopo i giudici di Salerno, infatti, anche quelli di Cagliari permettono ad una coppia fertile, ma portatrice di malattia genetica, di eliminare gli embrioni malati in una struttura pubblica italiana. E questo significa che la coppia ricorrente potrà avere un bimbo sano, senza dover spendere migliaia di euro all'estero e senza l'angoscia di portare la gravidanza avanti per mesi prima di procedere all'aborto terapeutico. Già, perché la legge sull'aborto consente di liberarsi di un feto malato anche al quarto mese di gravidanza, ma attualmente non permette ad una coppia fertile di eliminare il feto non sano prima che diventi un bambino a tutti gli effetti nella pancia della mamma. Una contraddizione condivisa anche dalla Corte Europea Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo. Lo scorso giugno aveva infatti sconfessato la legge 40 accogliendo il ricorso di una coppia italiana fertile portatrice sana di fibrosi cistica che voleva accedere alla diagnosi pre-impianto degli embrioni. Il governo italiano aveva protestato sonoramente ed era stato annunciato il ricorso in appello la cui scadenza è fissata per il 28 novembre. Ad oggi però nessuno si è mosso. Ma in questo «limbo legislativo» solo i giudici civili hanno le idee chiare e vanno avanti a suon di picconate. Ieri il Tribunale di Cagliari ha autorizzato una coppia, lei malata di talassemia major e lui portatore sano, di eseguire il test all'Ospedale Microcitemico di Cagliari. I giudici sono stati categorici. «I centri pubblici italiani specializzati in Procreazione medicalmente assistita (Pma)- dice l'ordinanza - devono offrire la diagnosi preimpianto alle coppie che la richiedono perché affette da malattie genetiche». Dei 10 tribunali, da Roma in giù, alle prese con casi analoghi, un buon numero potrebbe pronunciarsi prima di Natale. Non ci sono scappatoie. I giudici stanno dalla parte delle coppie e applicano, in assenza di chiari dettagli normativi, la sentenza dei Strasburgo. Ma, con o senza Ue, ai tribunali questa legge appare ingiusta. Forse è per questo che a Salerno, nel gennaio 2010 i magistrati avevano dato il via libera alla selezione embrionale a una coppia fertile ma portatrice di una malattia che aveva già fatto morire una figlia di appena 7 mesi e che li ha costretti a tre aborti. Situazioni strazianti che potrebbero essere eliminate se si correggesse una legge che lascia molti scontenti. Soprattutto le coppie di malati che spendono migliaia di euro per recarsi all'estero e aggirare così l'ostacolo della legge 40. Come quella coppia di Torino che ha sborsato trentamila euro in Spagna per avere accesso alla diagnosi preimpianto nel tentativo di concepire un figlio sano. O un'altra coppia di Venezia che di euro ne ha spesi 20 mila, sempre in Spagna. Ma ora questi cittadini reclamano il diritto ad una gravidanza serena e chiedono che lo Stato italiano rimborsi i soldi spesi fuori dai confini italiani. I commenti politici alla sentenza non si sono fatti attendere. Parla di «legge ideologica, fatta fuori dal contesto del rispetto della scienza e dell'individuo» Emma Bonino, vice presidente della Senato. «Solo 19 coppie hanno fatto ricorso - spiega Bonino - ma hanno avuto la forza, anche economica, di opporsi».

Infatti solo chi può cerca il figlio a suon di carte bollate. Sono infatti una decina i tribunali italiani che dovranno pronunciarsi sull'utero in affitto, la fecondazione eterologa, il destino degli embrioni «abbandonati». E se ne vedranno delle belle.

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