Maurizio Sacconi, senatore del Pdl ed ex ministro del Lavoro, lei è stato tra i primi a criticare la sentenza di Roma.
«È un provvedimento angosciante, che ci fa sentire tutti parte di un Paese dove può succedere di tutto, compreso il fatto che il potere giudiziario possa imporre un imponibile di manodopera ideologizzata. Con l’effetto di indurre a trasferirsi attività industriali storiche o di inibire a crescere le aziende a causa dell’inesorabile incontro con il sindacato politicizzato e la sua appendice giudiziaria. E anche di non attrarre investimenti dall’estero».
Questo per la cattiva giustizia?
«Per le incertezze che sono determinate dal modo in cui regole già complesse sono applicate e interpretate ».
Bisogna semplificare?
«Non si tratta solo di questo, ma anche di affrontare con decisione le anomalie di un sistema giudiziario senza responsabilità».
Lei critica la riforma del lavoro con ragionamenti simili. La sentenza cambia qualcosa?
«Le considerazioni che ho fatto sono ancora più necessarie adesso che il Parlamento si accinge a votare la riforma, sotto il ricatto della stabilità europea agitato dal premier Monti. È una legge che rinvia ancora di più la gran parte delle regole del lavoro alla giurisprudenza, che abbiamo constatato ancora una volta essere faziosa.Dipenderà dai giudici l’identificazione della corretta tipologia contrattuale e anche l’applicazione di quel poco che è cambiato dell’articolo 18. La risposta del governo alla nostra anomalia giudiziaria è imporre ancora più giurisprudenza incerta ».
Possibile correggere queste anomalie?
«Io ho sempre sostenuto che il testo non è emendabile perché fondato su un pregiudizio nei confronti del datore di lavoro, con la conseguenza di norme più complesse, onerose e incerte. Tutto questo, proprio mentre le difficoltà ad assumere e intraprendere suggerirebbero norme ancora più semplici».
Su questo il governo Monti è da bocciare?
«Monti ha fatto quello che il governo Prodi non fece, cioè stravolgere la legge Biagi, che in anni di bassa crescita fece incrementare l’occupazione. Due milioni di posti di lavoro in più, fino all’inizio della crisi».
Il ministro Fornero non ha commentato la sentenza.
«A rendere questa giornata ancora più angosciante sono proprio i silenzi assordanti, se non i consensi a una sentenza che pone vari interrogativi. Tra questi anche quello su chi sia il giudice naturale delle assunzioni a Pomigliano. A quanto pare tutte le strade portano a Roma, anche quelle della giustizia ideologizzata ».
Giudizi positivi anche dal Pd.
«Tutti quelli che pensano sia possibile la coabitazione tra i liberali e gli statalisti della sinistra italiana, dovranno ricredersi. Il Pd, alla prova da sforzo, si rivela sempre refrattario alla modernizzazione, inadatto a governare la crescita agevolando la libertà d’impresa».
Sindacati soddisfatti. Fa eccezione la Uilm di Palombella che ora parla di «scenari pericolosi». È d’accordo?
«Non c’è dubbio che a questo punto rischiamo davvero di interrompere un percorso virtuoso di investimenti della Fiat in Italia. Mi chiedo per quanto tempo una multinazionale come Fiat, ma con essa molte altre aziende, potranno sopportare questo clima di incertezza e l’ipotesi di dovere affrontare oneri impropri come sarebbero quelli di assunzioni non necessarie».
Rischiamo di perdere definitivamente Fiat?
«Il pericolo di perdere produzioni della Fiat e di altri operatori oggi è maggiore. E questo avviene mentre nel mio solo territorio, il Nord Est, ci sono continue proposte di rilocalizzazione di attività industriali italiane da parte della Croazia, della Slovenia, della Stiria, della Carinzia. Persino dello stato del Texas».
Ha parlato di semplificazioni, sostenendo che da sole non sono sufficienti. Può comunque essere questa un’area di interventi per evitare la delocalizzazione?
«Sì, ma bisogna avere il coraggio di chiedere meno adempimenti preventivi sfidando la prima impopolarità. Gli oneri amministrativi sulla sicurezza nel lavoro, ad esempio, costano 1,5 miliardi alle aziende per la sola parte generale mentre per i cantieri gli oneri complessivi pesano per 3,5 miliardi. Serve il coraggio, anche da parte di chi rappresenta le imprese, di chiedere meno adempimenti per aver più sicurezza, non meno, nel nome di un approccio sostanzialista e non formalista».
E la giustizia?
«Da un lato - conclude Sacconi serve una regolazione certa che lasci meno spazio alla giustizia
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