In Fiat decidono i giudici Sacconi: "Così rischiamo che il Lingotto lasci l’Italia"

Il tribunale di Roma impone la riassunzione di 145 iscritti Fiom. L'ex ministro del Lavoro: "Sentenza choc e il governo tace. Il Pd? Una pubblicità regresso"

In Fiat decidono i giudici Sacconi: "Così rischiamo  che il Lingotto lasci l’Italia"

Maurizio Sacconi, senatore del Pdl ed ex ministro del Lavoro, lei è stato tra i primi a criticare la sentenza di Roma.
«È un provvedimento angoscian­te, che ci fa sentire tutti parte di un Pa­ese dove può succedere di tutto, compreso il fatto che il potere giudi­ziario possa imporre un imponibile di manodopera ideologizzata. Con l’effetto di indurre a trasferirsi attivi­tà industriali storiche o di inibire a crescere le aziende a causa dell’ine­sorabile incontro con il sindacato po­liticizzato e la sua appendice giudi­ziaria. E anche di non attrarre investi­menti dall’estero».

Questo per la cattiva giustizia?
«Per le incertezze che sono deter­minate dal modo in cui regole già complesse sono applicate e interpre­tate ».

Bisogna semplificare?
«Non si tratta solo di questo, ma anche di affrontare con decisione le anomalie di un sistema giudiziario senza responsabilità».

Lei critica la riforma del lavoro con ragionamenti simili. La sen­tenza cambia qualcosa?
«Le considerazioni che ho fatto so­no ancora più necessarie adesso che il Parlamento si accinge a votare la ri­forma, sotto il ricatto della stabilità europea agitato dal premier Monti. È una legge che rinvia ancora di più la gran parte delle regole del lavoro alla giurisprudenza, che abbiamo constatato ancora una volta essere faziosa.Dipenderà dai giudici l’iden­tificazione della corretta tipologia contrattuale e anche l’applicazione di quel poco che è cambiato dell’arti­colo 18. La risposta del governo alla nostra anomalia giudiziaria è impor­re ancora più giurisprudenza incer­ta ».

Possibile correggere queste ano­malie?
«Io ho sempre sostenuto che il te­sto non è emendabile perché fonda­to su un pregiudizio nei confronti del datore di lavoro, con la conse­guenza di norme più complesse, onerose e incerte. Tutto questo, pro­prio mentre le difficoltà ad assume­re e intraprendere suggerirebbero norme ancora più semplici».

Su questo il governo Monti è da bocciare?
«Monti ha fatto quello che il gover­no Prodi non fece, cioè stravolgere la legge Biagi, che in anni di bassa cre­scita fece incrementare l’occupazio­ne. Due milioni di posti di lavoro in più, fino all’inizio della crisi».

Il ministro Fornero non ha com­mentato la sentenza.
«A rendere questa giornata anco­ra più angosciante sono proprio i si­lenzi assordanti, se non i consensi a una sentenza che pone vari interro­gativi. Tra questi anche quello su chi sia il giudice naturale delle assunzio­ni a Pomigliano. A quanto pare tutte le strade portano a Roma, anche quelle della giustizia ideologizza­ta ».

Giudizi positivi anche dal Pd.
«Tutti quelli che pensano sia possi­bile la coabitazione tra i liberali e gli statalisti della sinistra italiana, do­vranno ricredersi. Il Pd, alla prova da sforzo, si rivela sempre refrattario alla modernizzazione, inadatto a go­vernare la crescita agevolando la li­bertà d’impresa».

Sindacati soddisfatti. Fa eccezio­ne la Uilm di Palombella che ora parla di «scenari pericolosi». È d’accordo?
«Non c’è dubbio che a questo pun­to rischiamo davvero di interrompe­re un percorso virtuoso di investi­menti della Fiat in Italia. Mi chiedo per quanto tempo una multinazio­nale come Fiat, ma con essa molte al­tre aziende, potranno sopportare questo clima di incertezza e l’ipotesi di dovere affrontare oneri impropri come sarebbero quelli di assunzioni non necessarie».

Rischiamo di perdere definitiva­mente Fiat?
«Il pericolo di perdere produzioni della Fiat e di altri operatori oggi è maggiore. E questo avviene mentre nel mio solo territorio, il Nord Est, ci sono continue proposte di rilocaliz­zazione di attività industriali italia­ne da parte della Croazia, della Slove­nia, della Stiria, della Carinzia. Persi­no dello stato del Texas».

Ha parlato di semplificazioni, so­stenendo che da sole non sono sufficienti. Può comunque esse­re questa un’area di interventi per evitare la delocalizzazione?
«Sì, ma bisogna avere il coraggio di chiedere meno adempimenti pre­ve­ntivi sfidando la prima impopola­rità. Gli oneri amministrativi sulla si­curezza nel lavoro, ad esempio, co­stano 1,5 miliardi alle aziende per la sola parte generale mentre per i can­tieri gli oneri complessivi pesano per 3,5 miliardi. Serve il coraggio, an­che da parte di chi rappresenta le im­prese, di chiedere meno adempi­menti per aver più sicurezza, non meno, nel nome di un approccio so­stanzialista e non formalista».

E la giustizia?
«Da un lato - conclude Sacconi ­serve una regolazione certa che lasci meno spazio alla giustizia

creativa, ovvero il contrario di quello che ha voluto il governo, e dall’altro favori­sca lo sviluppo delle soluzioni stra­giudiziali sulla base soprattutto del­l’arbitrato che noi abbiamo regolato e che la Cgil non vuole».

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