Politica

Fisco, riforme e decadenza: 5 mesi vissuti pericolosamente

Napolitano sperava che in Italia la "grande coalizione" potesse funzionare come in Germania. Ma Letta non è la Merkel: così Pd e Pdl hanno litigato quasi su tutto

Il passaggio di consegne fra Mario Monti e il neo premier Enrico Letta
Il passaggio di consegne fra Mario Monti e il neo premier Enrico Letta

C inque mesi vissuti pericolosamente, tra dimissioni, indecisioni, rinvii, bracci di ferro tra due partiti nemiciamici, presi per il collo dall'ingovernabilità uscita dalle urne di febbraio. Il governo nasce il 27 aprile (giorno in cui Enrico Letta ha sciolto la riserva) sotto l'ala del neo rieletto presidente Giorgio Napolitano. Si rompe l'asse Pd-Sel che ha la maggioranza alla Camera, non al Senato, e si forma una maggioranza bulgara, almeno sulla carte: le larghe intese raggruppano Pd, Pdl, Scelta civica, Udc e i radicali che piazzano Emma Bonino agli Esteri. L'obiettivo è tirare avanti 18 mesi.
In Germania la grosse Koalition aveva funzionato. Da noi Napolitano s'illudeva che Enrico Letta avesse gli attributi di Angela Merkel. Si comincia male: il Pd manda al governo personaggi di terza fila e il Pdl le colombe più pacifiche. Persone adatte a smussare i contrasti, non a gestire l'emergenza. Alla debolezza si sovrappone il dramma: mentre il governo giura al Quirinale, davanti a Palazzo Chigi il disoccupato Luigi Preiti spara contro due carabinieri ferendo anche una passante incinta. Appena incassata la fiducia, Letta vola a Berlino per imparare il mestiere (e forse prendere ordini) dalla cancelliera tedesca.
Il primo scoglio su cui le larghe intese rischiano di incagliarsi è su Michaela Biancofiore, sottosegretario pidiellino agli Affari regionali, che perde la delega alle Pari opportunità per alcune dichiarazioni sulle coppie gay ritenute omofobe. Salta anche l'elezione di Nitto Palma (Pdl) a presidente della commissione Giustizia del Senato. Peggio va a Josefa Idem, ministro democratico allo Sport costretta a dimettersi per una serie di irregolarità fiscali e abusi edili sulla casa-palestra in cui vive.
Subito si pone il problema dell'Imu, la cui cancellazione il Pdl ha posto come condizione irrinunciabile per stare al governo. A metà maggio il governo fa slittare il pagamento della prima rata, rinviando a fine agosto la ridefinizione della tassazione sulla casa. Un nodo mai sciolto. Però Letta si mostra fiducioso, parla di riforma del sistema elettorale, della Costituzione, del fisco. Il disegno di legge per abolire in tre anni il finanziamento pubblico dei partiti rimane lettera morta, anche perché - pochi giorni fa - il Pd ha tentato di porre un limite anche alle donazioni dei privati ai soggetti politici.
C'è poco di buono: gli incentivi fiscali per ristrutturazioni edilizie e acquisto di mobili, lo sblocco ai pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, il rifinanziamento della cassa integrazione. Il resto è un campo di battaglia come quello aperto a luglio sull'espulsione di Alma Shalabayeva e della figlioletta, sbrigativamente rimpatriate in Kazakistan. Le opposizioni chiedono invano le dimissioni di Angelino Alfano, difeso da Letta nel caos generale.
Sul tavolo del governo si accumulano dossier scottanti sui quali l'esecutivo tentenna senza decidersi: la drammatica situazione dell'Ilva, l'acquisto degli aerei cacciabombardieri F35, il rifinanziamento delle missioni militari all'estero. È un crescendo di difficoltà e scontri. Nonostante la larga maggioranza, per approvare il «decreto del fare» è necessario ricorrere al voto di fiducia. Sul versante fiscale, cioè Iva e Imu, tra ultimatum e resistenze è tutto un rinvio in attesa che i partiti trovino un accordo e il ministro Fabrizio Saccomanni i fondi. Finisce che l'accordo non si trova mentre il titolare dell'Economia pensa di sostituire una tassa con un'altra (le accise sulla benzina). E così sulla seconda rata Imu mancano ancora le coperture finanziarie mentre l'Iva aumenterà martedì.
Sullo sfondo resta la battaglia del Pdl per difendere l'agibilità politica di Silvio Berlusconi dopo la condanna definitiva della Cassazione. Letta e il Pd, alleati di governo, non cedono sulla decadenza, sulla retroattività della legge Severino e sul rinvio alla Corte costituzionale.

E ora il Pdl si ritira.

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