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Il flop di Pisapia e Pizzarotti: sindaci tutti web e ideologia

Vivono sui social network e perdono di vista il loro compito: amministrare. Milano cade sul Dalai Lama, a Parma e Napoli gli assessori scoppiano

Il flop di Pisapia e Pizzarotti: sindaci tutti web e ideologia

Per favore, aiutate Pizza­rotti. Mandategli un as­sistente, un tutore, che ne so, magari una tata, manda­tegli la Mary Poppins dei sin­daci, ma mandategli qualcu­no. Il primo grillino di Parma è riuscito,infatti, in un’impresa mondiale: non ha ancora for­mato la giunta e già i suoi asses­sori si dimettono. Roba da mandarlo all’olimpiade dei babbalocchi. Ma non è mica colpa sua, sapete: è che l’han­no lasciato lì da solo, lui con il suo web , la mailing list , il blog , la chat , skype , facebook e you­tube , e si sono dimenticati di spiegargli che c’è una qualche differenza tra l’amministra­zione di un Comune e google map.

Che ci volete fare? A for­za di frequentare il mondo vir­tuale, ecco, anche la sua giunta, per il momento, è solo virtuale. Ci fosse la tata sa­rebbe tutto più facile per lui. In effetti sono passati 32 giorni esatti dalla sua elezione e Federi­co Pizzarotti non ha ancora co­minciato ad amministrare. Lo chiamano «metodo slow», ma so­lo perché lui è grillino. Altrimenti direbbero che il suo è «immobili­smo ». L’altro giorno, dopo lunga attesa, finalmente il nostro sinda­co era riuscito a nominare un as­sessore all’urbanistica, tal Rober­to Bruni, un passato già nelle am­ministrazioni Pci e un fallimento allo spalle di una società edilizia con annesso e sospetto abuso edi­lizio. La rete è insorta: ma che fai Pizzarotti? Chi nomini all’urbani­stica? Uno che ha fatto fallire un’azienda edile? E che per di più avrebbe costruito una villetta sen­za permessi? Ma i curriculum li leggi davvero o fai finta?

E il sinda­co è stato costretto a silurare uno dei pochi assessori nominati, aprendo un nuovo buco nella squadra di (non) governo. Buco su buco: più che una giunta, or­mai la sua sembra un groviera. Ma dev’essere così che si fa la nouvelle vague dell’amministra­zione municipale. Basta con que­sta noia: le delibere? Gli atti di giunta? I regolamenti? Le dele­ghe? Gli assessori? Macché tutta roba vecchia: ora c’è la web gene­ration , podcast e social network . Ti si spacca il tombino? Facciamo un video sharing .C’è da aggiusta­re il lampione? Affidiamoci al wi­fi . Lo so che non serve a nulla, ma che importa? Suona bene. Muni­cipalità 2.0. Non ci sono gli asses­sori, quelli che ci sono devono di­mettersi. Però vuoi mettere come funziona se lo traduci in formato Voip o Ftp? L’immagine (virtuale) è tutto per i sindaci della nouvelle vague, il nuovo che avanza sotto i campa­nili d’Italia.

Prendete quell’altro campione del rinnovamento che è il sindaco di Napoli, Luigi De Ma­gistris: era andato al governo pre­dicando la rivoluzione arancione ma ora perde i pezzi. «De Magi­stris usa vecchie logiche », lo ha ac­cusato l’assessore alla Sicurezza, Giuseppe Narducci, prima di di­mettersi. «E poi è pure antidemo­cratico ». Narducci, uno dei punti forti della vittoria elettorale di De Magistris, pm di calciopoli, magi­strato noto e integerrimo, è solo l’ultimo che si rivolta contro la ri­voluzione napoletana: prima di lui se ne sono andati Raphael Ros­si, che era stato incaricato in pom­pa magna di risolvere la questio­ne dei rifiuti, e Roberto Vecchioni, che era stato incaricato in pompa magna di risollevare la cultura. Ora dicono che vacilli anche un al­tro simbolo del rinnovamento, l’assessore alle Finanze, Riccardo Realfonzo, quello che si era defini­to in un libro «Robin Hood a Palaz­zo San Giacomo ».Vi pare?Eviden­temente questi sindaci nouvelle vague hanno fatto un po’ di confu­sione: dovevano rappresentare il nuovo. Invece, al massimo, pre­sentano nuovi assessori. E con una certa frequenza, tra l’altro. Il fatto è che De Magistris ha usa­to i nomi di cantanti e magistrati esattamente come Pizzarotti ha usato il web e youtube : una trovata mediatica, una bandiera da sven­tolare nelle piazze, un colpo di ci­pria per rifarsi l’immagine. Ma sot­to l’immagine che resta? Fra il dire e il governare c’è di mezzo il mare, e se non si sta attenti può diventa­re un mare di guai.

Se n’è accorto in questi giorni pure il sindaco di Milano, Giulia­no Pisapia, terzo rappresentante del municipalismo in salsa ram­pante. Pisapia s’era presentato co­me uno Zapatero a dimensione panettone,gran riformatore in sal­sa iberica con l’aggiunta di zaffera­no, imbevuto fino al midollo di ideali o, almeno, di ideologie: eco­logia, rispetto degli ultimi, i rom, i diritti dei giovani, quelli delle cop­pie gay. Poi è bastato un sussurro in cinese per costringerlo a rinun­ciare a tutti i suoi principi in nome della vecchia e sana realpolitik . Il Dalai Lama è stato ripudiato in un secondo: riceverà la cittadinanza onoraria ad Assago, non nella Mi­lano di Pisapia, uno che fra le idee e i dané, evidentemente, sa sem­pre che cosa scegliere. Per l’amor del cielo,gli affari so­no sacri: ma se questo è il nuovo che avanza, beh, allora ridateci Ni­cola Signorello e Carlo Tognoli. Con tutti i loro difetti, almeno del­la realpolitik erano maestri e avrebbero evitato certe gaffe.

In ef­fetti: non poteva pensarci prima, sciur sindaco Pisapia? Non glie­l’avevano detto che a celebrare il Dalai Lama, la Cina si sarebbe un pochino infuriata? Gliel’hanno fatta a sua insaputa? O anche lei, come Pizzarotti, ha sbagliato a leg­gere su internet? Cos’è? Un link di wikipedia sbagliato? Un virus in­formatico? Una pestilenza on li­ne ? O, semplicemente, voi sinda­ci della nouvelle vague vi siete di­menticati che amministrare le cit­tà è una roba seria?

In effetti de­v’essere così. Ma illudersi di farlo a suon di parole e slogan fru fru è come illudersi di far navigare un trialberi mettendo come vele un paio di mutandine di pizzo. Ci si va a schiantare alla prima onda.

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