Cronache

Forteto, dopo gli orrori svelati la sinistra tenta la retromarcia

Rosy Bindi smentisce anche se stessa, Pisapia "non sapeva", la Regione chiede i danni (dopo aver elargito milioni), Unicoop si lava la coscienza

Rosy Bindi al teatro Vittoria di Torino
Rosy Bindi al teatro Vittoria di Torino

L'impaccio della sinistra per l'esplodere del «caso Forteto», la comunità di accoglienza nel Mugello (che è al contempo un'affermata coop agricola e una fondazione culturale) in cui i minori in affido non venivano educati e restituiti alle famiglie d'origine ma abusati, è tutta in un piccolo particolare: un'imbarazzata smentita doppia di Rosy Bindi. Una richiesta di precisazione inviata giovedì pomeriggio al Giornale corretta un paio d'ore dopo. Fermo restando che «non so dove sia la comunità Il Forteto, non l'ho mai visitata e non ho mai avuto rapporti», l'ex presidente del Pd dapprima afferma che «è del tutto arbitrario accostare il mio nome e la mia foto alle vicende di questa comunità», poi invece ritira l'accostamento arbitrario: «Non so come mai il mio nome compare della relazione finale della Commissione d'inchiesta della Regione Toscana, ma sono intenzionata a capirlo per evitare strumentalizzazioni sulla mia persona».
La sua presenza è testimoniata da una delle vittime del Forteto (verbale 6 dell'11 luglio 2012, pagina 36), P.Z., che dichiara: «Bruno (l'ex parlamentare comunista Eduardo Bruno, ndr) era quello che manteneva i collegamenti tra il Forteto e la politica soprattutto a livello nazionale, cioè la Bindi, la Turco, Fassino... è stato Bruno a creare tutti questi legami». Un commissario chiede: «Ah, Rosy Bindi?». «Sì, è venuta da noi a mangiare le castagne, mi ricordo...». «Anche la Rosy Bindi, è venuta!». E P.Z., riferendosi alle castagne: «Le ha prese proprio un contadino». Numerosissimi articoli, pubblicati su decine di testate diverse, accennano alle visite dell'onorevole Bindi al Forteto. Non sono stati mai smentiti.
È scattata la corsa a prendere le distanze dalla comunità degli orrori. L'avvocato Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, si è affrettato a precisare che l'inserimento nel comitato scientifico della Fondazione Il Forteto è avvenuto a sua insaputa. Nelle scorse settimane, dopo che le indagini della magistratura e la Commissione regionale presieduta da Stefano Mugnai (Pdl) hanno portato alla luce gli orrendi segreti del «profeta» Rodolfo Fiesoli, anche la Regione ha fatto un passo indietro chiedendo (e ottenendo) di costituirsi nel processo di ottobre come parte civile. Dopo aver erogato per anni una pletora di contributi (almeno 1.200.000 euro), ora la Regione chiede i danni. Ancora più significativo è l'ultimatum imposto dalla Lega delle cooperative, cui aderisce la coop Il Forteto, simbolo di eccellenza produttiva coinvolta nello scandalo. I soci a «chilometro zero» cercano invano di tenersi lontani dalle vicende dei minori in affido: gli scandali della comunità sono inestricabilmente legati all'attività produttiva. Ventidue capi della coop, fedelissimi di Fiesoli, andranno con lui a processo. Campi, frutteti, stalle biologiche e caseificio del Forteto sono stati lavorati dai ragazzi sfruttati dal «profeta», parecchi già da bambini. Il ministero delle Attività produttive sta svolgendo da qualche giorno un'ispezione sull'azienda che conta un centinaio di dipendenti.
Ed ecco la retromarcia anche di Unicoop, centrale toscana della grande distribuzione mutualistica i cui scaffali traboccano di prodotti a marchio Il Forteto, che ha chiesto e ottenuto il repulisti. Via «le persone coinvolte in un'indagine dai risvolti etici». Sotto la minaccia di non vendere più yogurt, pecorino e mozzarelle mugellane (magari prodotte con il latte munto da ragazzini delle elementari), i capi del Forteto hanno passato la mano. In realtà non c'è stato un vero ricambio, perché i nuovi vertici della coop restano legati alla vecchia gestione, ma ciò garantisce comunque a Unicoop di lavarsi la coscienza.
Tutto il Mugello rosso è in imbarazzo. Il comune di Borgo San Lorenzo ha seguito l'esempio della Regione e si è costituito parte civile, non così le amministrazioni di Vicchio e Dicomano. Nei giorni scorsi il Pd di Vicchio, la patria di Giotto e Beato Angelico nel cui perimetro si trova la comunità degli orrori, ha messo sotto accusa il compagno Paolo Bambagioni, vicepresidente della commissione regionale, che non avrebbe rispettato la «consegna del silenzio» con cui larghi settori del Partito democratico vorrebbero tacitare lo scandalo. Il giudizio Bambagioni è drastico: «I fatti raccolti dalla commissione esprimono un giudizio indiscutibile. Chi ancora dubita è male informato. Che devono fare le istituzioni se non proteggere i più deboli?».
Appunto. Ma a sinistra tanti non vogliono aprire gli occhi. Nel Mugello si raccolgono firme, lettere e testimonianze in difesa del Forteto. Il presidente del Consiglio regionale, Alberto Monaci, ha cercato di limitare il campo d'azione della commissione Mugnai-Bambagioni. Il consigliere Enzo Brogi (Pd) ha parlato di «processo cinese» e la sua collega Daniela Lastri avrebbe preferito svuotare la relazione, omettendo le testimonianze delle vittime e i nomi dei politici di sinistra che facevano passerella.

Obiezioni formali davanti all'orrore dei ragazzi abusati.

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