RomaDi fronte al monumento di Monti forgiato da stampa amica e politici ammirati, quasi un Mosè michelangiolesco con tanto di divine tavole della legge, non è la prima volta che verrebbe da ribaltare la stizza dell'artista e chiedersi: «Ma perché parla?». Se di gaffe si è trattato, di «errore clamoroso» come dice Cicchitto - considerato che l'intervista risale a settimane fa e che incidenti del genere ce ne sono già stati - si dovrebbe dedurne un poderoso difetto di comunicazione del premier. Il vezzo (la presunzione) di gestirla in proprio, la sottovalutazione ripetuta dei pericoli legati alle «banali estrapolazioni» o alle voci «dal sen sfuggite».
Per capire allora il motivo delle parole di Monti - tralasciando le battute pidielline su colpo di sole, età, nervosismo eccetera - può tornare utile il quadro psicologico che ne ha dato ieri Casini, ormai avanguardista montiano al di là di ogni ragionevole dubbio. «Non è un punching ball, dice le cose come stanno». Insomma, al di là della deformazione professorale di parlare ex cathedra, si aggiunge quel senso misto di orgoglio e impotenza rintracciabile in tutte le dichiarazioni del premier. Ho fatto quel che dovevo fare, è il ritornello di Palazzo Chigi, e se i risultati tardano pazienza, perché se non ci fossi io sarebbe stato assai peggio.
Ma allora el tacon è peggio del buso, come dicono i veneti. Perché la telefonata riparatrice a Berlusconi (non è la prima volta) è una pezza che segnala ancora una volta debolezza, umiltà mal dissimulata e legata alla consapevolezza di essere ancora il capo di un governo legato a un filo sottilissimo. E, pur volendo attribuire al premier nervi d'acciaio Krupp, non si può non scorgere la stizza repressa nei confronti del Parlamento, l'insofferenza che egli manifesta ogni volta che può, come se gli «scappasse il freno», ha osservato la Gelmini. Ma non si può neppure immaginare che essa resti senza conseguenze.
Un Monti che vive questa intricata situazione, pur ammettendo che la sopporti per «amor di patria», arrivando fino alle scuse ripetute al partito di maggioranza relativa, è nei fatti un Monti dimezzato, un Monti in disarmo, un Monti arrivato all'ultima spiaggia. Non di certo, però, un Monti «impolitico». Tutt'altro. Nel Pdl (e non solo nel Pdl) si fa strada l'idea che il premier stia cercando ormai nel dopo-Monti i contorni di una strategia politica (e personale). Difficile pensare che il premier punti a elezioni anticipate, come temono alcuni nel Pdl, perché costituirebbero un trauma assai forte per il Paese, pregiudicandone del tutto la tenuta. Anche i tempi tecnici ormai dicono marzo, ed è chiaro che la scadenza elettorale venga interpretata da tutti (lo conferma Casini) come un «liberi tutti». Liberi tutti, e anche Monti. Condotta in porto la spending review, per il Professore è ora di guardare con interesse alle forze a lui più affezionate con altrettanta affezione e gratitudine. Tracce di questa virata potranno emergere nel fitto calendario di incontri (tutti già previsti) che il premier terrà prima della pausa estiva: ieri Schifani, oggi Casini e Alfano, venerdì Fini. Ma ciò che risulta già evidente è che lo schema Pd-Udc trova nel premier un perno centrale, sia che i risultati elettorali gli consentano di restare a Palazzo Chigi, sia che altri siano chiamati a proseguire la sua opera. In tal caso, una maggioranza di questo tipo, alla quale potrebbe aggiungersi l'infornata dei post-tecnici capeggiata da Passera (giusto ieri ha confermato: «Non torno a fare il banchiere»), costituirebbe un buon trampolino per il Quirinale. Certo, è la scommessa di un Pdl perdente di brutto alle elezioni quella che Monti ha deciso di giocare, consapevole che la coppia Bersani-Casini è pronta a tutto pur di governare.
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