RomaContrordine, amici di Monti e di campagne (elettorali). Il Prof vira ancora nella finora inefficace strategia mediatica; le correzioni di rotta a cura di Lelio Alfonso e dell'ex direttore del Tempo, Mario Sechi, mirano a nuovi punti cospicui. Disorientare gli avversari, recuperare gli astenuti, inneggiare all'(immancabile, immarcescibile) vittoria. Ritagliare allo sbiadito loden un profilo identitario. E massicce dosi di Gerovital, all' occorrenza, in caso di masse pervicacemente ottuse.
Si riparte dalla storia, antica e recente. Il Pci era «glorioso» anche se «anti-europeista», ma non fa paura. Il Pd viene da quella storia, ma la sua «modernizzazione è forzata» e non riesce a fare a meno di Vendola. Berlusconi, va da sé, «sbaglia» a temere il «pericolo comunista» ed è «provinciale» quando dice che i sacrifici sono imposti dalla Germania. L'Italia è salva? «Dipende da come andranno le elezioni», (Senza di me il diluvio). È l'Unto dei poteri forti? «Li combatto da sempre». Forse massone? «La massoneria non so neanche bene che cosa sia, l'anello del Papa non l'ho baciato perché ero in visita da premier».
La svolta evoca suggestioni e presagi. Si sa quel che si lascia, nessuno (neppure lui) sa bene che Mario Monti sbucherà al termine della notte. L'alleanza con il Pd sta nell'ordine delle cose, ma il Prof non si farà più risucchiare a parlarne, «neppure sotto tortura». Troppe le ripercussioni negative tra gli elettori all'idea che tutto il can can serva solo a fornire una «stampella» a Bersani. Tant'è che in serata a Ballarò prova pure a mostrare i muscoli al segretario Pd: «È una brava persona, ma ho profonda sfiducia nella capacità della sua coalizione di governare il Paese». Più duri, invece, gli attacchi al Pdl: Berlusconi diventa un «manipolatore della realtà», il segretario Alfano «spiritosissimo» anche se «in presenza del suo capo non è così vivace».
Così il premier, domenica scorsa, ha raccomandato ai suoi di propagandare il verbo del «30 per cento: possiamo arrivarci davvero». Più entusiasmo per tutti. Il cambiamento può sembrare una sfumatura, ma intende rovesciare i rapporti di forza pre e post-elettorali. Guai a restare ancorati alla magra rappresentazione dei sondaggi, alla triste realtà. Servono illusioni, sogni, chimere. Per rianimare i delusi e per gonfiare il più possibile i muscoli del Prof in vista di un traguardo prestigioso. Non necessariamente il Colle (che, anzi, al momento s'allontana) e neppure il governo («Non diamo per scontato che ci saremo», raccomanda). Occorre invertire i rapporti di forza: Prodi seppe guidare il centrosinistra senza avere, all'inizio, nulla più che testardaggine, visione, sogno. L'Ulivo, una scatola vuota più che un partito.
È a quell'esperienza che ora guarda Monti. S'è tradotto in errore aver detto che nel '94 aveva votato la «rivoluzione liberale» di Berlusconi. Ecco quindi spuntare le preferenze elettorali - rivisitate - del Prof: «Repubblicani e liberali, Spadolini e Malagodi. Ho avuto molta simpatia per Prodi con cui ho lavorato molto bene a Bruxelles». È il presupposto ideologico che mancava per proporsi come continuatore dell'opera. Seguono le considerazioni (ex cathedra, of course) sul cammino percorso fin qui: «Apprezzo gli sforzi del Pd per affrancarsi dalla gloriosa storia comunista del partito di Bersani, che all'inizio ad esempio non appoggiava la costruzione europea, molto più recentemente sì... Ma ha torto Berlusconi a dire che c'è un pericolo comunista».
Parole che testimoniano l'avvio di un processo di osmosi. Il cui esito minimo potrà essere l'alleanza di governo, ma che alludono a un orizzonte ben più ambizioso: la successione al coriaceo Prodi nella guida dei post-comunisti. Non a caso è la vestale custode di quell'esperienza, Rosy Bindi, l'unica a sentirsi offesa dalla ricostruzione.
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