La grafia di Padre Pio "Spia della vita mistica tra tormenti e amore"

La grafologa italiana analizza la scrittura del frate di Pietrelcina. Da cui emergono emotività, impulsività e "bisogno di dare affetto"

La grafia di Padre Pio "Spia della vita mistica tra tormenti e amore"

Evi Crotti è la maggiore grafologa italiana. Allieva di padre Girolamo Moretti, il francescano che fu fondatore della grafologia moderna, ha a sua volta fondato, con il professor Alberto Magni, suo marito, un Centro studi di grafologia con tanto di scuola, riconosciuta e apprezzata non solo a livello nazionale (il sito internet è www.evicrotti.com).
Ha analizzato la scrittura di Aldo Moro durante i giorni del sequestro. In collaborazione con Andrea Tornielli ha preso in esame i testi dei pontefici, da Leone XIII a Benedetto XVI. È autrice di numerose pubblicazioni psicopedagogiche, ed è nota ai lettori de Il Giornale per aver a lungo collaborato con la nostra testata.
Signora Crotti, come ha lavorato sulla grafia di San Pio da Pietrelcina?
«Ho avuto la possibilità di andare all'ospedale Sollievo della Sofferenza, chiamata dal nipote, per analizzare padre Pio attraverso la scrittura. Ho visto che c'erano momenti di sofferenza e di gioiosità. Soprattutto volevo comprendere il problema che c'era stato con le donne...».
Cioè?
«La sua scrittura era particolarmente affettiva con certe donne che partecipavano a un gruppo di preghiera. Erano donne in gran parte più anziane di lui, con le quali aveva creato un rapporto di tipo filiale. Come con sua madre».
Come ha lavorato su questa materia?
«Ho analizzato il percorso emozionale, affettivo, relazionale contenuto nella sua grafia da quando aveva 25 anni fino alla morte».
Facciamo un passo indietro. Come si fa a trarre indicazioni psicologiche o addirittura mistiche dalla calligrafia di una persona?
«La grafia dritta simboleggia rigidità. Quella di padre Pio è sempre fluida verso destra. Abbiamo dei parametri: la grafia pastosa, la pressione sul foglio, il tipo di energia vitale che percorre le lettere. Se la grafia è forte e scorrevole vuol dire che la persona la investe bene. Se il tratto è leggero indica sensibilità e può avere una bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni. Le lettere sono sfaldate, come nel caso di padre Pio, indicano un turbamento psichico e fisico che il soggetto sta vivendo».
Lei lo fa risalire alla sua esperienza mistica?
«Siccome l'uomo è fatto di materia e di spirito o di psiche, noi vediamo la sofferenza che il soggetto vive sia a livello fisico che psichico-spirituale. Secondo la traduzione corretta di Freud, per cui psiche significa anima».
Un uomo o una donna diciamo normali, che non vivono un rapporto così intenso con il trascendente, magari atee, non potrebbero avere una scrittura simile a quella di san Pio da Pietrelcina?
«Certo. Ma la psiche ce l'abbiamo tutti. Quando vado dal medico e mi dice che non ho niente ma io non mi sento bene, vuol dire che somatizzo qualcosa di interiore. Negli scritti di Aldo Moro si vede che, dopo esser stato condannato, la sua grafia diventa sofferta, complessa. Non c'è nessuna persona che non abbia una dimensione spirituale. Poi c'è la ragione che media. Se ragioniamo troppo diventiamo razionalisti. Anche l'ateo, se ha dei disturbi, nella scrittura lo dimostra».
Torniamo a padre Pio. Che conclusioni ha tratto dalle sue ricerche?
«Nei testi diciamo giovanili la scrittura inclinata verso destra indica una propensione affettiva dell'autore. Si notava una certa emotività, data dalle macchie d'inchiostro che sembrano dovute a delle scosse. Poi si comincia a intravedere una natura auto-aggressiva».
In che senso?
«La sua disciplina gli imponeva una sorta di compressione di sentimenti che non poteva esprimere all'esterno. Probabilmente somatizzava queste pulsioni».
Con l'andare del tempo la calligrafia di padre Pio sembra più ondosa...
«A trent'anni diventa più pastosa. Dovrebbe scorrere sul foglio, in realtà non è fluida. Cosa significa? Che in quel momento padre Pio era scosso emotivamente. Era un uomo che viveva con pathos ogni cosa. A livello spirituale, perché era un uomo che amava Gesù. Ma anche a livello passionale, per cui poteva avere delle reazioni impulsive».
Con l'età subentra maggiore equilibrio?
«A 36 anni scrive “Mia carissima figliuola“ a una donna. Qui la grafia esprime il trasporto verso le persone care con le quali condivideva l'amore per Gesù. La scrittura scorre in modo fluido senza troppe scosse, come se facesse una sorta di training autogeno spirituale. Emerge il suo bisogno di amare».
Ci sono tracce dalle quali si può evincere l'esperienza delle stimmate?
«A cinquant'anni la grafia scorre sempre inclinata verso destra e dimostra buona salute. Sembra quasi che neanche le avesse. A 72 torna la grafia con le scosse, diciamo un po' oscura, non si leggono bene le lettere».
Non sarà l'età?
«No, ci sono tante persone anziane che mantengono una grafia giovanile».
Perché subentra una grafia così irregolare?
«In quel momento stava soffrendo molto, sopportava febbri anche oltre i quaranta dovute alle stimmate. Scriveva di aver ripreso le celebrazioni dopo tre giorni di sospensione».
Era anche una persona dal forte temperamento. Questo si vede nella sua grafia?
«Certo. A ottant'anni scrive ancora “figliolina mia“. Qui la grafia torna ad essere disturbata. Un tratto sempre presente nella sua scrittura è il bisogno di essere amato e di buttare addosso all'uomo, uomo e donna, tutto l'amore che aveva dentro di sé. La sua vita doveva essere spesa a servizio degli ammalati. Lui sapeva cos'era la sofferenza...».
Diceva che ha letto anche gli scritti delle ultime ore.
«Negli ultimi giorni la scrittura si fa leggera, quasi illeggibile. E non somiglia né a quella dei 25 anni né a quella degli ottant'anni. La grafia è discendente, è affaticato. La sera del 22 settembre, morirà nella notte, ritorna pastosa. Può essere un'ipertensione o un malessere di debilitazione. Dopo poche ore muore. Deve scrivere “cappuccini“ ma si ferma a “cap“, ed è come se la penna gli sfuggisse”.
Era una persona tormentata?
«Aveva alti e bassi dell'umore, in certi momenti si pacificava. Come se vivesse una situazione conflittuale dentro di sé, forse portata dalla vicenda delle stimmate e dalla sofferenza che gli provocavano».


Qual è la sua conclusione finale?
«Aveva una partecipazione spasmodica alla vita. Con la grafologia non posso dire se fosse o no Santo. Ci sono medici che fanno ricerche. Ma posso dire la sofferenza che viveva, fatta di amore e di tormento allo stesso tempo».

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