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La guerra a sinistra sul Colle? Colpa del Cav

La guerra a sinistra sul Colle? Colpa del Cav

RomaLa Repubblica ha una vera e propria ossessione: il lato B. Non inteso come gluteo ma come Berlusconi: il nemico, il Caimano, il male assoluto. Sì perché nell'appassionante diatriba magistrati contro Colle, il direttore ieri ha detto la sua. «Da che parte sto? Contro Berlusconi», il senso del ragionamento di Ezio Mauro, racchiuso in un editoriale papiro. E che c'azzecca Berlusconi con la polemica Quirinale-toghe? Nulla, ma non importa. Importa ribadire che il Cavaliere è Belzebù e per l'esorcismo è lecita qualsiasi piroetta logica.
Riassunto delle puntate precedenti. I magistrati di Palermo indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia. Nelle intercettazioni disposte dalla Procura rimane invischiato il Quirinale che parla, attraverso un funzionario poi stroncato da un infarto, con l'indagato ed ex presidente del Senato, Nicola Mancino. Napolitano s'indigna e solleva il conflitto d'attribuzione, mettendo di mezzo la Corte costituzionale: «La Procura lede le prerogative del presidente della Repubblica», lamenta. Uno scontro senza precedenti tra Colle e magistrati di Palermo. Chi ha ragione? Sul tema s'innesta una vera e propria guerra di carta. I giornali si schierano. Il Fatto dei manettari Padellaro & Travaglio fa - ovvio - il tifo per l'amico Ingroia, toga pavonesca e ipersinistrorsa. E picchia duro su Re Giorgio. E Repubblica? Dapprima ospita un intervento dell'ex presidente della Consulta, Gustavo Zagrebelsky, che bastona il Quirinale: con il ricorso diventa perno di un'operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione dei magistrati. Boom. Ingroia ringrazia. A rispondere a Zagrebelsky è nientemeno che il Fondatore Scalfari. Che, sempre su Repubblica, gli toglie la pelle e lo accusa di alimentare una campagna anti-Napolitano. La caserma di Repubblica è un bordello. A mettere la proboscide nella polemiche, l'elefantino Giuliano Ferrara che, perfido, stuzzica: «Ma Ezio Mauro da che parte sta? Con Scalfari e Napolitano o con Ingroia e Zagrebelsky?».
Chiamato così direttamente in causa, il direttore risponde: «Sto contro Berlusconi». Non c'entra un fico secco ma Mauro svela la sua paranoia: «Quante telefonate avrà dovuto fare il capo dello Stato nelle due settimane che hanno preceduto le dimissioni di Berlusconi?», si domanda il direttore. «Se quelle conversazioni... fossero diventate pubbliche, quell'esito sarebbe stato più facile o sarebbe al contrario precipitato nelle polemiche di parte più infuocate, fino a rivelarsi impossibile?». Ecco il chiodo fisso di Mauro: che il fischio dell'arbitro che ha mandato in panchina il Cav andasse a buon fine. L'unica cosa che conta: la distruzione di B. Per questo fine, quindi, è un bene che le telefonate del Colle rimangano mute: «È interesse di tutti», sostiene Mauro. Ma non per una convinzione assoluta, per tutelare l'istituzione. Anche perché quando a guidare l'istituzione-governo c'era il Cavaliere, per Repubblica era lecito pubblicare tutto, sputtanare a go go, sbirciare e svelare quanto trovato perfino sotto le lenzuola. E giammai, all'epoca, Mauro avrebbe evocato il silenzio perché «Interesse di tutti».
Una vera e propria fissazione, Berlusconi, chiamato in causa anche per attaccare Grillo, Travaglio e Di Pietro. Tutta gente che si schiera a sinistra - anche in questo caso - per colpa di Berlusconi. E te pareva. Testuale: «L'onda anomala del berlusconismo ha spinto nella nostra metà del campo (che noi chiamiamo sinistra) forze, linguaggi, comportamenti e pulsioni che sono oggettivamente di destra».

E giù bastonate a chi cavalca l'anticastismo e «fa di ogni erba un fascio, in modo da legittimare il lanciafiamme che redima il sistema»; a chi «alza i toni chiamando i politici “larve”, “moribondi”, “morti”, alimentando la confusione e fingendo che la destra sia uguale alla sinistra»; a chi «deride i nomi delle persone, scherzando coi loro difetti fisici». Firmato: l'odiatore del Caimano.

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