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I 97 controlli dei burocrati che soffocano le imprese

RomaSoffocate da un eccesso di «affetto» da parte dello Stato. La Pubblica amministrazione tiene così tanto alle piccole imprese da dedicargli un numero di controlli di varia natura che fa invidia (per quantità più che per efficacia) ai test pre-lancio degli Shuttle. La Cgia di Mestre ieri ne ha contati 97, contro la settantina di check previsti dal protocollo Nasa. Un mare di scartoffie che grava sugli uffici amministrativi delle Pmi, che per definizione non sono troppo grandi.
A distogliere l'attenzione dei piccoli imprenditori dal loro vero lavoro, sono quattro tipi di attività di controllo previsti dalla legge italiana. La gran parte riguardano l'area «ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro», interessata da 50 possibili controlli. Niente di male, si dirà. Peccato che a effettuarli siano undici enti e istituti diversi, a dimostrazione del fatto che il core business del made in Italy è produrre enti, sovrastrutture e uffici a carico (e a danno) del contribuente. Il settore amministrativo conta sei controlli, che sono appannaggio di «soli» tre diversi enti. L'area contrattualistica, con 18 controlli, dà lavoro a quattro diversi istituti pubblici e relativi impiegati. Non poteva mancare l'ambito del fisco, con 23 controlli condotti da sette enti diversi.
Non è nemmeno colpa della burocrazia, spiega il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi. Gli enti «sono anch'essi vittime di questa situazione. Troppe direttive, troppe leggi, troppi regolamenti creano solo confusione, mettendo in seria difficoltà non solo chi è obbligato ad applicare la legge, ma anche chi è deputato a farla rispettare».
Una legislazione «spesso caotica e in molte circostanze addirittura indecifrabile», aggiunge Bortolussi, che mette nei guai soprattutto le aziende più piccole. «Ricordo che il 95% delle imprese italiane ha meno di 10 addetti e non dispone, a differenza delle medie e grandi, di nessuna struttura tecnica/amministrativa in grado di affrontare professionalmente queste problematiche».
Oltre a rendere impossibile la vita degli imprenditori - costretti a concentrare i loro sforzi sulle scartoffie più che nella produzione - i cento controlli scoraggiano gli investitori esteri che vogliono puntare sulle eccellenze italiane.
A beneficiare di un sistema a metà strada tra il bizantino e il sovietico è solo il «fatturato» della burocrazia sul sistema produttivo che ha superato - ricorda Bortolussi - i 30 miliardi di euro all'anno.
Pressione fiscale, burocrazia e proliferazione di enti pubblici mettono il carico su un tessuto produttivo compromesso dalla crisi. Con buona pace di chi vede la ripresa dietro l'angolo, gli ultimi tre mesi sono stati pessimi per le imprese, visto che sono stati registrati più di 3.600 fallimenti. Circa 40 aziende chiuse al giorno, quasi due all'ora, secondo i dati Unioncamere.
Rispetto al primo trimestre dell'anno scorso c'è stato un aumento dei fallimenti del 22%. Confermata anche la crescita delle procedure di concordato, che sono state 577, il 34,7% in più del 2013. Reggono solo consorzi o cooperative, che hanno mostrato un calo dei fallimenti di circa il 2%. Un fallimento su 4, aperta tra l'inizio di gennaio e la fine di marzo, ha riguardato aziende che operano nel commercio (+24%). Poi l'industria manifatturiera, un comparto in cui il fenomeno era in calo nel 2013. Male l'edilizia, con 771 procedure. Il fenomeno riguarda tutto il Paese, ed è appena più attenuato nel Nord Est.

Nel senso che i fallimenti sono cresciuti, ma «solo» del 12,5%.

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