RomaCentrini: la fusione degli atomi frena. Sebbene qualcuno dia per imminente la creazione di un grande gruppo unico tra Ncd, Scelta civica, Popolari e Udc, l'operazione resta in salita. Forse si farà ma il matrimonio non è «cosa fatta» come è stato scritto. Rimangono perplessità politiche, legate all'opportunità di amalgamare chi ha poca voglia di mescolarsi; come ingarbugliati restano i nodi relativi alle poltrone: un risiko connesso alle più basse ambizioni personali.
Quasi tutti, visti i risultati elettorali, sanno che da soli non vanno da nessuna parte. L'unione fa la forza ma tra i contraenti in molti storcono la bocca. Tra gli alfaniani, per esempio, c'è chi lamenta: «Andiamoci piano con le fusioni a freddo. Non hanno mai funzionato», dice un anonimo deputato. Malpancisti sono soprattutto quelli nelle cui vene scorre sangue ex aennino: Piso, Augello, Saltamartini, Scopelliti; ma anche Dorina Bianchi non sarebbe entusiasta. E poi: «Nessuna fuga in avanti: se Angelino vuole le nozze, prima convochi l'assemblea di Ncd o almeno la direzione del partito per discuterne e decidere». Ovvio che la costituzione di un gruppone - si vocifera il nome di Coalizione Popolare - avrebbe implicazioni politiche notevoli e nell'Ncd non tutti vogliono «morire democristiani».
Anche nell'Udc l'entusiasmo non è alle stelle. Ma soprattutto: l'operazione non avverrebbe con la benedizione di Casini, anzi. Un vecchio parlamentare centrista svela: «La mossa del gruppone ha come regista Cesa, proprio in funzione anti Casini. Il quale è una vecchia volpe; ha sempre parlato e parla con tutti, quello: da Berlusconi a Renzi. Fa il gioco delle tre carte e si lascia aperte sempre tutte le porte. Se ci uniamo all'Ncd il potere di Pier cala». Vero? Un casiniano di ferro dà una lettura diversa: «Casini e Cesa hanno sempre fatto così: il poliziotto buono e quello cattivo. Uno frena e l'altro accelera. Ma è tattica: in realtà si muovono come un sol uomo». Alambicchi postdemocristiani, insomma. Di fatto, i fautori dell'accordo sono Cesa, De Mita e De Poli. Più scettici Casini, Adornato e D'Alia.
Il contenitore dovrebbe fare da calamita per quel che resta di Scelta civica; che non vale più nulla ma che in Parlamento ha piccolo plotone: 27 alla Camera e 8 in Senato. Il partito è in frantumi e martedì i «cani sciolti» si riuniranno per decidere che fare. I senatori Pietro Ichino e Gianpiero Dalla Zuanna non saranno della partita perché vengono già dati nelle file del Pd; così come Andrea Romano e gran parte dei deputati. Più favorevoli all'accordo e a costruire un polo moderato sono Gianluca Susta, Alessandro Maran e Linda Lanzillotta. Anche tra i Popolari di Mario Mauro ci sono spaccature: Dellai e Olivero sono considerati in quota Renzi. Favorevoli alle nozze, invece, sono i senatori Salvatore Di Maggio, Angela D'Onghia e Aldo Di Biagio: questo - va detto - pur con mille distinguo frutto di gelosie e antipatie personali. Mario Mauro è favorevole all'unione a patto, però, di «non fare i Dudù di Renzi».
E poi ci sono le beghe sulle poltrone. Schifani è d'accordo all'unione perché mira a fare il capogruppo al Senato facendo le scarpe a Sacconi. Ma se così fosse pezzi di Ncd sarebbero pronti a sbattere la porta.
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