I conti dei Prof non tornano: sì alla manovra da 20 miliardi

Per colpa delle misure dei tecnici si è aperta una voragine nella finanza pubblica. Il Pil è a picco, il debito è impazzito: servono 10 miliardi subito e altri 10 tra sei mesi

I conti dei Prof non tornano: sì alla manovra da 20 miliardi

Roma - Il «pilota automatico» non basta più a tenere i conti italiani sotto i controllo, serve una manovra. Lo dicono in tanti anche nel governo e la convinzione si è rafforzata con le due novità di ieri. La Bce che lascia fermi i tassi, con Mario Draghi dice che la ripresa «è a rischio», e la Commissione europea che conferma per l'Italia tutti gli impegni sui conti pubblici.
Rispetto alle previsioni, comprese quelle dei più pessimisti, cambia l'entità della manovra. Si era parlato di sette miliardi, poi di 14. Adesso la cifra che il governo sta cercando per fare quadrare i conti dell'anno in corso ammonta a circa 20 miliardi di euro. Possibile si vadano a pescare con due tranche: una manovra in primavera per i prossimi sei mesi poi un'altra, da varare a fine 2013.
A fare lievitare i conti, le voci di spesa che erano già finite all'attenzione della politica (quando c'era stata la polemica sulla «polvere sotto il tappeto» del premier Mario Monti). Quindi le missioni militari all'estero, gli ammortizzatori sociali e la parte ancora non coperta degli esodati. C'è la spesa per interessi, compresa quella per i 40 miliardi di debito commerciale che diventerà debito pubblico (si parla già di un taglio orizzontale alle spese dei ministeri per coprirla). Poi ci sono eventuali scelte «politiche», come la rinuncia all'aumento dell'Iva che è già messa a bilancio e vale 3,5 miliardi.
Ma a rendere necessaria la manovra è soprattutto la crisi economica, che sui conti pubblici si manifesta sotto forma di un calo del Pil che rende più difficile centrare l'obiettivo europeo del deficit al 3%, e anche di una diminuzione delle entrate.
Nel 2013, tra contributi ed entrate tributarie, il governo ha già rivisto al ribasso il gettito di circa 20 miliardi rispetto alle previsioni. Se non ci sarà la ripresa, il conto del governo Monti lieviterà.
Scenario non improbabile. Il presidente della Bce Mario Draghi ha confermato le previsioni per una crescita nella seconda parte dell'anno. Ma ha avvertito che la ripresa è «soggetta a rischi». E sono legati alla «possibilità di una domanda interna più debole» e «di una lenta o insufficiente implementazione delle riforme» nell'area euro. Questi fattori hanno «la potenzialità di danneggiare» la ripresa. Uno scenario che descrive bene la situazione italiana.
La politica monetaria della Bce, ha assicurato Draghi al termine del board che ha lasciato invariati i tassi allo 0,75%, «resterà accomodante finché sarà necessario» e l'istituto di Francoforte è «pronto ad agire» sul costo del denaro, pronto a tagliare i tassi se necessario. Cipro non è un modello, ma i governi dell'area Euro si devono muovere. La Bce «non può compensare la mancanza d'azione dei governi».
Italia al centro dell'attenzione anche a Bruxelles. Ieri dalla Commissione europea sono arrivati altri paletti sui conti. Positivo il giudizio sulla restituzione dei debiti della pubblica amministrazione. Ma gli impegni sui conti pubblici restano inalterati. Quelli sul deficit, che deve restare sotto la soglia del 3% del Pil. Ma anche quelli sul debito. Possibile trasformare 40 miliardi di debito commerciale in debito pubblico.

Ma restano fermi - hanno sottolineato ieri fonti vicine al commissario agli Affari economici Olli Rehn - anche gli impegni del fiscal compact sul debito. La parte eccedente al 60% dovrà essere restituita al ritmo di un ventesimo all'anno. Quindi dovremo ridurre il debito di 40 miliardi all'anno.

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