RomaNel gioco illusionista dei Cinque Stelle tutto si svolge davanti agli occhi del Web. Ma tutto in realtà si decide «dietro» il Web, in ambiti insondabili che di virtuale hanno soltanto la forma emergente. Specchietto per le «allodole» (che si tratti di «cittadini elettori» o « eletti»).
La battaglia degli influencer si svolge a colpi di pagine su Facebook, di gruppi di pressione, di minacciose videoclip postate nella comoda e vile forma di Anonymus, in discussioni surreali nelle quali la comunicazione più «convincente» è quella più estrema: laddove l'apologia dell'ignoranza s'incastra perfettamente con quella della militanza. Così «io stò con Beppe» sembra essere meglio se scritto con l'accento su «stò» e per scegliere uno straccio di slogan per gli striscioni della manifestazione di domattina in piazza Montecitorio si procede a referendum. Al momento in cui si scrive, con i seguenti significativi risultati: 76 voti per «Beppe il Megafono, Noi la voce in Movimento»; 18 per «Tutti noi siamo Grillo»; 15 per il pregnante «O dentro o fuori dal M5S e i suoi Valori». Peccato per lo scarso seguito di «Noi con Beppe voi con 30 denari» (3 voti) e il laconico «M5S o dimissioni» (2 voti).
Quella del «tradimento» - nel processo senza streaming alla senatrice Adele Gambaro che si tiene oggi a Palazzo Madama, «rea» di opinioni in contrasto con quelle del Capo - è la cifra di un evento che vorrebbe potersi richiamare alla drammatica grandezza criminale di un Lavrentij Beria o almeno di un Andrej Januar'evic Vishinsky. Ma che troverà invece nella modesta dimensione del professore di scuola media superiore Nicola Morra, capogruppo al Senato, la sua farsesca Pubblica Accusa. È però probabile che le indicazioni del team «dietro lo specchio» (Casaleggio Associati + Beppe Grillo), di fronte a uno scenario che rischia di far franare la fragilissima struttura del M5S, possano all'ultimo momento spingere sul freno. Qualche segnale già s'intravede, come la smentita di gruppo (come gli evasi in catene di un celebre film di Woody Allen) ai boatos di una quindicina di dissidenti pronti a costituirsi in gruppo autonomo in caso di condanna della Gambaro. L'illazione è stata respinta in blocco sovietico e in ordine alfabetico da tutti coloro che erano stati nominati in un articolo della Stampa: Bencini, Blundo, Bulgarelli, Campanella, Casaletto, De Pietro, De Pin, Fucksia, Giarrusso, Lezzi, Montevecchi, Simeoni. E pubblicata sul blog di Grillo per dimostrare unità, a corredo di un concetto ben noto ai frequentatori dei Cinque Stelle: «La stampa fa schifo». Poche righe per dire che «la campagna mediatica in atto è tesa a minare le fondamenta del Movimento al quale si lascia spazio solo per sterili polemiche anziché informare circa il buon lavoro svolto in Parlamento».
Eppure il fatto è, al di là del deludente uso della lingua italiana, che anche il lavoro dei parlamentari non si discosta da una mediocrità che soltanto degli sprovveduti (in buona o cattiva fede che siano) possono propagandare come «buon lavoro». Diciamo lavoro «normale», alla portata di un qualsiasi Scilipoti (con tutto il rispetto): una ventina di progetti di legge, qualche mozione d'indirizzo priva di valore cogente per il governo, le solite interrogazioni e interpellanze. Spacciare questi per grandi risultati è davvero prendere in giro i nove milioni di italiani che si sono fidati dei «cittadini» di Grillo. Per cui, purtroppo, si sarà ancora costretti a parlare, in queste ore in cui «il formicaio dei miserabili è in gran fermento perché devono abbassare al loro livello Beppe Grillo» (così un «illuminato» su Fb), della possibile scissione del M5S.
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