Da Rialto a piazza San Marco, le calli delle Mercerie sono un suk di vu' cumprà. Da soli, a gruppi, sempre in contatto fra loro, pronti a nascondersi dietro un angolo se avvistano un vigile. Imbracciano borsette di griffe falsificate, foulard, cappellini, e se comincia a piovere cambiano magicamente campionario: ombrellini e impermeabili. «Hanno di sicuro qualche deposito poco lontano da qui», brontola un negoziante in Calle Larga San Marco. Sono abusivi ed evasori fiscali, e sono i padroni del centro di Venezia. Presidiano il territorio indisturbati. Qualcuno spaccia droga. Quando scappano dalle rare retate delle forze dell'ordine travolgono anziani e bambini per coprirsi le spalle. Minacciano i commercianti che gli chiedono di spostarsi o s'azzardano a mettere in guardia i turisti dall'acquistare i falsi.
L'esasperazione dei negozianti di Venezia è tutta nei rimedi che invocano. Uno rivorrebbe il Duce, un altro le Brigate rosse, un altro ancora i tempi in cui Felicetto Maniero chiedeva il pizzo. Hanno ingaggiato inutili vigilantes: «Finirà che apriremo le braccia ai mafiosi che prendono tangenti ma almeno garantiscono l'ordine». Ecco la vera tragedia: la fiducia nello Stato è finita in fondo alla laguna.
Qualcuno cerca di reagire. Giorni fa sono tornati alla ribalta i «Cittadini non distratti», un gruppo di persone che da vent'anni è in servizio permanente effettivo contro borseggiatori, truffatori ambulanti, pusher, abusivi. A fine agosto hanno bloccato una banda di bulgari che clonava bancomat. I «non distratti» hanno l'occhio allenato: uno di loro, negoziante con le vetrine sulle Mercerie dell'Orologio, ha notato tre tizi che tenevano d'occhio la macchina dei soldi per poi avvicinarsi e armeggiare. Nella calle si era formata una piccola coda. Una telefonata per chiamare altri due «non distratti», il pedinamento finché un quarto chiamava un funzionario della polizia giudiziaria che ha trovato addosso ai bulgari uno «skimmer» per rubare i codici magnetici delle carte.
I «cittadini non distratti», inizialmente una ventina e ora dimezzati, sono un fenomeno unico. Non chiedono pubblicità, né le autorità gliene fanno: hanno ricevuto un encomio del Comune e uno dalla polizia a fronte di 1.400 segnalazioni in vent'anni. Hanno visto le bande di magrebini armati di coltello, le gang di romeni e albanesi, le stagioni dei minorenni impunibili e delle donne incinte che ti derubavano dopo averti impietosito. Hanno pedinato, fotografato e schedato a modo loro i delinquenti: quello ben pettinato era «Mascagna», l'occhialuto «il Professore», quello con gli stivaletti texani «Sioe (cioè suole) alte». «Lo facciamo per senso civico, perché non ci vogliamo rassegnare», spiegano due di loro, un pittore di Riva degli Schiavoni e un agente immobiliare che potrebbero passare giorni a raccontare pedinamenti, minacce, rischi, botte ricevute, ronde notturne («durante il Carnevale anche 18 ore di fila»), tempo perso in questura e tribunale per deposizioni e testimonianze.
La microcriminalità nel cuore di Venezia aveva rallentato negli ultimi anni, ma ora il fenomeno è tornato a crescere. «Le forze dell'ordine fanno quello che possono, le leggi non aiutano perché può essere arrestato soltanto chi è colto in flagrante, ma ci vorrebbe una volontà decisa dalle autorità: ci sentiamo abbandonati, per loro i vu' cumprà sono intoccabili»: il coro è unanime. Gli agenti a piedi sono impotenti, in compenso sono inflessibili con i commercianti di Venezia che pagano tasse e licenze: un negoziante delle Mercerie che aveva chiamato i vigili per cacciare gli abusivi si è preso una multa perché non aveva esposto correttamente due prezzi.
La sfacciataggine degli stranieri è sconfinata. Non pagano le multe, danno generalità false. Alla sera calli e campielli sono in mano loro, Venezia è lasciata a se stessa. Un venditore di souvenir presso il Ponte di Rialto è imbufalito: «Io pago il plateatico, non mi posso muovere dallo spazio assegnato, e loro mi si piazzano qua davanti, rubano i clienti, e se gli dico di spostarsi sputano e insultano». A una vigilessa hanno spaccato un braccio. In Calle Larga il titolare di un antico negozio si è finto amico di un senegalese: «Mi ha portato nel magazzino di Padova dove si rifornisce. Entri e non ti chiedono documenti o partita Iva.
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