Della Valle è uno specialista nelle uscite di questo genere ed è stato il primo ad osare. Partì con la famiglia Addams, cioè i Romiti, e poi continuò con il governatore Fazio, e gli arzilli vecchietti (Geronzi&Bazoli).Ha continuato recentemente, anche lui, con Mediobanca e i suoi vertici; si è permesso di insolentire anche il giovane Elkann, che per la verità non è mai statocentrale nelle questioni che contano della finanza milanese. Ma tant’è. Della Valle, come Del Vecchio, pretende di comandare dove mette i quattrini. Non crede che le decisioni si possano far prendere a chi non rischia un euro. Accusa che peraltro con abilità proprio ieri Del Vecchio ha ribaltato su Della Valle ricordandogli che in Generali siede in consiglio di amministrazione nonostante non abbia un’azione. Pronti a fare scommesse sul fatto che Della Valle presto sbatta la porta a Trieste. D’altronde è la filosofia del boss della Tod’s. A chi lo conosce confida: cosa si credono di fare in Mediobanca? Se un pugno di imprenditori, di cui neanche si conosce il nome, si mettesse insieme, riuscirebbe a sfilargli la banca da sotto il sedere.
Un’altra caratteristica dei nostri quattro dell’Ave Maria è che non si fanno molti scrupoli a muovere le proprie pedine. Francesco Gaetano Caltagirone sembra utilizzare le banche come dei taxi. Si era costruito una buona posizione nel Monte dei Paschi e di punto in bianco la molla per entrare in Unicredit. Il giochetto gli costa una minusvalenza da 400 milioni e la prima perdita in trent’anni della sua holding. Caltagirone, Della Valle e Del Vecchio hanno spostato i loro appetiti proprio a piazza Cordusio. Sono saliti per i rami. Unicredit è primo azionistadi Mediobanca che è primo azionista di Generali e Rizzoli. È abbastanza chiaro che non hanno intenzione, nonostante le dichiarazioni ufficiali, di essere soci silenziosi. Se non si può comandare in Mediobanca o in Generali, tanto vale scalare il dante causa. O comunque hanno spostato le munizioni nel fortino più sicuro.
Ne sa qualcosa il nostro quarto pistolero: Giuseppe Rotelli. Mise in punta di piedi il naso nel Corriere della Sera grazie all’infortunio dei furbetti del quartierino. E non si è più fermato, fino a diventare il primo socio privato. Ma è stato tenuto al di fuori del patto di sindacato che governa tutte le scelte importanti del quotidiano. Se ne fece una ragione. Si dice che i suoi due rappresentanti (due avvocatoni tosti di Milano) hanno dato più un pensiero all’ex placido presidente del gruppo, il notaio Marchetti. Uomo di altri tempi che riteneva che la gestione degli affari societari della Rizzoli si potesse ancora fare con lo stile secretive della vecchia Mediobanca. Rotelli è vero che entra dalla porta di servizio, ma arriva fino al salotto. Un signore che prende 400 milioni di euro e fa fuori lo Ior dalla conquista del San Raffaele, non si fa certo intimidire da un patto di sindacato della Rcs diviso più che mai. A differenza degli altri tre (Caltagirone che è il più domestico, metà del fatturato lo realizza comunque all’estero), Rotelli è più legato alle vicende italiane. Gran parte della sua fortuna dipende dalla sanità, in particolare quella lombarda. Quella sulla quale il giornale di cui è primo azionista esercita il suo tradizionale spirito giustizialista.
Insomma i quattro dell’Ave Maria hanno risolto il loro «problema economico»: sono liquidi, hanno aziende che funzionano e dicono di essersi scocciati delle liturgiedelnostrocapitalismo di relazioni. Con tutto il rispetto per le loro grandi esperienze imprenditoriali, è meglio non cascarci.
Hanno capito meglio di tanti che un certo bancocentrismo italiano è finito. Si adoperano per dare il colpo finale. O per sostituirsi ad esso. In fondo investono i loro quattro spiccioli (si fa per dire) sempre su banche (Unicredit e Generali) e giornali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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