Milano Un tasso di disoccupazione così non s'era mai visto. Non almeno da quando, nel 1977, l'Istat ha cominciato a convogliare nei propri database le cifre degli italiani forzatamente a spasso. Meglio, tuttavia, non cercare parallelismi con la situazione di 37 anni fa, quando il Belpaese ballava sulle note della Febbre del sabato sera e provava a schivare le pallottole delle Br: si potrebbe rimpiangere il passato. Allora, i disoccupati erano pari al 6,4%, una percentuale non molto distante da quel livello di piena occupazione (sotto il 6%) tirato in ballo qualche giorno fa da Lady Fed, Janet Yellen; ora sono più del doppio, un 12,9% che tradotto con altri numeri si trasforma in 3.293.000 persone in cerca di lavoro, la perfetta cartina di tornasole di un'autentica piaga sociale. «Cifra allucinante, la più alta da 35 anni. Ecco perché il primo provvedimento, entro 15 giorni, sarà il JobsAct», dice Matteo Renzi, che forse per la fretta di twittare sballa un po' i conti.
Sul rilancio del mercato del lavoro, magari anche senza vestizioni lessicali anglofone, si basano le speranze di quanti sono finiti nel tritacarne della crisi. Sono tanti, troppi. Nel gennaio 2007, cioè prima del virus dei mutui subprime americani, i senza lavoro erano 1.513.000. Anno dopo anno, sono andati crescendo fino a formare un esercito senza armi sotto la spinta delle politiche di austerità che hanno finito per aggravare la recessione, azzerando le assunzioni e facendo lavorare a pieno ritmo la macchina dei licenziamenti. Servirà una ripresa ben più robusta dell'asfittico più 0,1% di crescita nel quarto trimestre 2013, per poter creare posti di lavoro sufficienti per incidere sul tasso di disoccupazione e, soprattutto, riuscire a dare un futuro ai giovani tra i 15 e i 24 anni. Tra di loro, non tutti «bamboccioni» (copyright Padoa Schioppa), o «choosy» (Fornero), non tutti ancora sulle spalle di papà e mamma «perché stanno bene» (John Elkann), c'è un 42,4% senza uno straccio di impiego, un livello mai così alto sia dall'inizio delle serie mensili Istat, gennaio 2004, sia di quelle trimestrali, primo trimestre 1977.
Oltre alle misure del governo, servirebbe anche una politica un po' più espansiva a livello europeo per irrobustire una crescita fiacca in tutta l'eurozona, dove i disoccupati rappresentano il 12% della forza lavoro complessiva, con punte del 28% in Grecia e di quasi il 26% in Spagna. Nonostante i senza lavoro siano al 6,6% negli Stati Uniti, la Fed ha garantito che manterrà il proprio sostegno all'economia attraverso l'acquisto di bond mensili, seppur già ridotto di 20 miliardi di dollari. La Bce, al contrario, è per ora rimasta ferma. Anche in presenza di rischi di deflazione. Un calo generalizzato dei prezzi è tutt'altro che benefico per il mercato del lavoro. Al contrario, crea un mix perverso composto da consumi in calo e ulteriori emorragie occupazionali. Ma la stabilità dei prezzi al consumo in febbraio (+0,8%) potrebbe indurre Mario Draghi a rinviare, la prossima settimana, eventuali interventi a contrasto dell'eccessivo abbassamento dei prezzi. Le medie, però, sono talvolta ingannevoli. In Italia, per esempio, questo mese l'inflazione è scesa allo 0,5% annuo (era allo 0,7% in gennaio) e su base mensile ha addirittura accusato una contrazione dello 0,1%. Brutto segno.
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