I sospetti e il crollo in Borsa: il Monte alla resa dei conti

Il presidente di Mps Alessandro Profumo e l'ad Fabrizio Viola
Il presidente di Mps Alessandro Profumo e l'ad Fabrizio Viola

Milano «La situazione è completamente sotto controllo». Alla fine di un consiglio di amministrazione durato sei ore (e durante il quale le polemiche non sono mancate da parte dell'anima senese «dura e pura») il Monte dei Paschi ha stigmatizzato «le strumentalizzazioni politiche» ribadendo che «è stato avviato un profondo risanamento per il rilancio».
Ecco, la questione è proprio questa: il rilancio, avviato solo da sei mesi, ancora non si vede. E il caos dei derivati ha fornito agli operatori di Borsa un appiglio per speculare al ribasso sul titolo. Che ieri ha vissuto un'altra giornata di passione. La banca, alla vigilia dell'assemblea determinante, ha perso un altro 8,2% in Borsa, annullando in quattro sedute (-21%) buona parte dei guadagni realizzati nell'ultimo mese. Il cda guidato dal presidente Alessandro Profumo e dall'ad Fabrizio Viola ha preparato i lavori assembleari: bisognerà approvare un aumento di capitale da massimi 4,5 miliardi per far posto all'emissione dei 3,9 miliardi di Monti-bond. Una cifra «monstre» se si considera che il Monte vale in Borsa 2,7 miliardi e dunque chiede allo Stato, cioè a noi il 144% della sua capitalizzazione.
Vale la pena allora di porre quelle domande che i mercati e la politica (Pd ovviamente escluso per «responsabilità oggettiva») pongono ormai da tre giorni. Chi sapeva? Perché la banca rischia di perdere quasi 750 milioni in derivati? E perché il Tesoro presterà 3,9 miliardi (l'equivalente dell'Imu sulla prima casa) all'istituto senese?
Partiamo dalla fine. I 3,9 miliardi che lo Stato dovrà sottoscrivere serviranno per rimborsare gli 1,9 miliardi di vecchi Tremonti-bond del 2009 e per rimettere in sesto il patrimonio. Se le perdite sui derivati fossero superiori ai 500 milioni confermati di recente, la banca rischierebbe di perdere quanto meno il beneficio legato alla ripresa degli spread che ha fatto aumentare le quotazioni dei Btp. Anche se il Monte accusa i media e la politica di aver trattato le sue vicende «con leggerezza», occorre però non valutare un altro dato: il complesso di emissioni obbligazionarie garantite dal Tesoro effettuate a fine 2011 per circa 28 miliardi con scadenza 2015. È dunque legittimo essere preoccupati
Il sentiero parte inequivocabilmente da quel contratto nascosto in cassaforte per tre anni dall'ex direttore generale Antonio Vigni: la stipula dell'operazione «Alexandria». Il derivato «scaricato» ai giapponesi di Nomura nel 2009 al costo di un mutuo carissimo servito per acquistare altri Btp e rimborsato l'anno scorso al costo di una pesante minusvalenza (come minimo 200 milioni di euro). Lo stesso, grosso modo, vale per le altre operazioni «Santorini» e «Nota Italia». Ebbene queste operazioni, sommariamente esposte nel bilancio fino al 2009, da tre anni a questa parte sono finite sotto traccia in barba agli obblighi di trasparenza verso le autorità di Vigilanza (in primis Bankitalia).
In secondo luogo, la questione solleva dubbi anche sulle altre operazioni effettuate a copertura di un portafoglio di titoli di Stato italiani da 23 miliardi di euro. Al momento, la banca ha stipulato contratti con i quali scambia il tasso di interesse dei Btp (il 4% circa cioè un miliardo l'anno) con il bassissimo tasso Euribor. Altra circostanza da non sottovalutare è la ristrutturazione di una banca stremata da un'acquisizione costosissima (Antonveneta «ufficialmente» pagata 9,6 miliardi nel 2007 «netti») e oggi valutata zero.

Nel primo semestre 2012 Mps ha sofferto 1,6 miliardi di perdite proprio per la «pulizia» di bilancio cui ha fatto seguito un accordo di ristrutturazione con 1.100 prepensionamenti, approvato proprio ieri. La storia è proprio questa.

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