«Io sono meglio della Fornero jr»

«Io sono meglio della Fornero jr»

Eccolo qua il figliol primario di papà rettore, che passa per essere una sorta di macellaio raccomandato in camice bianco, incapace come i bambini alle prese col gioco dell’allegro chirurgo. Lui, Giacomo Frati, figlio del «Magnifico» Luigi della Sapienza di Roma, ci ha pensato e ripensato se rilasciare quest’intervista. «Quando ho visto anche l'altra mattina le telecamere che mi davano la caccia sotto casa e in Ateneo mi sono deciso. È un linciaggio».
Allora, professor Frati. Trentasette anni e già ordinario, una cattedra nell'università dove suo padre comanda dal 2008. Carriera veloce…
«A differenza di quel che si pensa, la carriera universitaria non è una carriera dove si avanza per anzianità ma per merito»
E lei che meriti ha oltre a chiamarsi Frati?
«Ho il merito di essermi fatto un mazzo così. Fin da quando ero al terzo anno di università, finita la sessione estiva di esami, rinunciavo alle vacanze per andare presso la Thomas Jefferson University di Philadelfia a imparare le principali metodiche di biologia molecolare applicate alle malattie cardiovascolari. Da quel momento in poi ho frequentato numerosi centri all'estero, tra cui l'ospedale Pompidou di Parigi e il laboratorio diretto da uno dei cardiochirurghi più famosi al mondo, professor Alain Carpentier. Poi sono stato a Lugano in Svizzera, al New York Medical College per ritornare solo nel dicembre 2010 a Roma. Sono stato tredici anni lontano dall'università di papà, se si fa eccezione per i cinque anni trascorsi all'ospedale di Latina».
E qui veniamo alle noti dolenti: Latina. Un approfondito resoconto di Gianantonio Stella sul Corriere della Sera parla del primario che operava i manichini, cioè Lei. Avrà pure studiato all'estero ma non è edificante per chi deve finire sotto i suoi ferri sapere che si esercita sui pupazzi
«Si dà il caso che il discorso dei manichini è un grandissimo bluff. E vi spiego quanto avevo inutilmente raccontato proprio in quella parte di intervista, tagliata e mai andata in onda per la trasmissione Report, un vero e proprio processo durato più di tre ore fatto a pochi minuti da un intervento di trapianto polmonare col il professor Federico Venuta. Allora: ovviamente i manichini non sono quelli delle vetrine di via Condotti ma costosissimi strumenti didattici, usati in ogni angolo del mondo, per il training del personale medico e paramedico. Nello specifico a Latina vennero utilizzati per istruire il personale di sala (e non i medici "istruttori" che devono avere una specializzazione ad hoc) in merito a procedure, quelle cardiochirurgiche, che fino ad allora non erano mai state eseguite in quell’ospedale. In soldoni: insegnavo agli infermieri come ci si comporta in una sala operatoria tecnologica, sofisticata e dotata di macchinari particolarismi dai quali dipende la vita del paziente. In più va detto che questa attività è stata svolta tutta, per sei mesi, prima di iniziare gli interventi veri e propri. Una sala operatoria deve essere un meccanismo ben rodato dove ognuno sa quello cosa fare. Ecco il perché delle simulazioni sui manichini. Chiaro?»
Sarà pure chiaro ma nel reparto da lei diretto ci sarebbero stati parecchi pazienti entrati vivi e usciti morti.
«Intanto io non ero affatto primario ma “aiuto“. Secondo poi chi ha scritto che la mortalità era altissima non ha letto i dati reali, e se vogliamo proprio parlare del sottoscritto ecco qua il certificato del direttore sanitario dove si dimostra che gli interventi da me eseguiti in qualità di primo operatore hanno avuto una mortalità pari allo zero per cento. Non ho mai perso un paziente. Andiamo avanti»
E comunque lei a Latina sarebbe stato chiamato come associato giusto un attimo prima, coincidenza, dell'entrata in vigore della riforma Gelmini contro il nepotismo.
«E qui la volevo. L’ennesima bufala. Peccato io sia divenuto professore associato nel 2005 ben cinque anni prima della Legge 240 con un giudizio unanime della commissione, chiunque può andare a controllare sul sito del ministero www.miur.it. Chi mi attacca perché non si documenta? Perché si è scritto che contro di me era stato fatto ricorso al Tar quand’invece quel ricorso riguardava un altro concorso e persone diverse da me?»
Vabbè, lei una vittima. Ma come spiega che il figlio del rettore finisce per lavorare nell'università di suo padre per chiamata diretta dal direttore generale appena nominato da papà? Non trova singolare la coincidenza?
(ride) «Si dà il caso che mi sia trasferito da Latina a Roma nel dicembre del 2010 con una UOS (unità operativa semplice) proposta dal primario, professor Michele Toscano, molto prima dell'insediamento del direttore generale».
Ma il professor Toscano è lo stesso che poi la attacca sui giornali?
«Mi ha sorpreso leggere le sue incredibili accuse anche perché clamorosamente false. Come l’esonero dai turni di guardia e il fatto che avrei sottratto al suo reparto una decina di posti letto, che di fatto, invece, non ho e non ho mai avuto, così come non ho un reparto. Io sono un raccomandato? Benissimo. Confrontate il mio giovane curriculum con il suo che è quello di un primario a fine carriera. I numeri parlano chiaro: il professore, mio superiore, che non mi fa più mettere piede in sala operatoria, è diventato ordinario con 11 pubblicazioni internazionali, io con 87. Ad oggi il professore ha 39 pubblicazioni internazionali con un indice di hirsch (indicatore della validità scientifica, ndr) di 8. Io, a 37 anni, ho 96 pubblicazioni internazionali, un hirsch di 23. Vogliamo parlare della figlia del ministro Fornero?»
E parliamone.
«Bravissima, Silvia Deaglio. Basta buttare un occhio a Pub-Med (la banca dati delle pubblicazioni scientifiche, ndr) per rendersi conto che è una validissima ricercatrice che merita il posto che ha. Il suo indice di hirsch è uguale al mio, il numero totale delle sue pubblicazioni è di poco inferiore. Perché Severgnini sul Corriere della sera giudica brava Silvia indipendentemente da chi siano i genitori, eppoi Stella, sullo stesso giornale, parlando della famiglia Frati come di una Parentopoli e Ignorantopoli? Due pesi, due misure. Perché? Capisco l’ondata contro la casta, i baroni, i figli di, i parenti, gli imboscati, capisco pure che la gente possa pensare che sono un raccomandato perché figlio del rettore. Ma io che colpe ho? Ho studiato come un pazzo, ho passato buona parte della mia vita all’estero, l’ho fatto per passione ed anche, incosciamente lo confesso, per essere giudicato per quello che sono e non per il padre che ho. Dopo questa intervista lei si farebbe operare da me?»
Beh…
«Ecco, vede? Questo è il risultato. Me lo spiega lei a che cosa è servito tutto questo impegno di anni e anni? Quando sui blog frequentati da medici e primari vengo descritto come un macellaio, un ragazzino sbarbatello che gioca con la vita dei poveri cardiopatici, ammetto che mi è venuta voglia di buttare via tutto e scappare all’estero dove mi stimano senza se e senza ma.

Mobbizzato come me c'è un ottimo chirurgo ch si è formato a Cleveland e che si chiama Antonino Marullo. Da noi non opera solo perché fa parte della mia unità operativa. Ma questo nessuno lo scrive, vediamo se lo scrive lei. Arrivederci».

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