Ultim'ora
Milano, camion travolge e uccide mamma, autista scappa
Ultim'ora
Milano, camion travolge e uccide mamma, autista scappa

L’erede senza trono: tra scandali ed esilio una vita in copertina

Scappò con la famiglia dopo il referendum repubblicano. Nel ’78 il caso Hamer: ferì a fucilate un giovane. La prima visita in Italia alla fine del 2002. Ha sempre detto: «La politica non mi interessa»

Cristiano Gatti

Gli italiani di nuova generazione imparano a conoscere il loro re ipotetico in una strana sera del 1978, appena dopo Ferragosto. Porto dell’Isola di Cavallo, zona Corsica: scoppia una lite furibonda, e secondo molti testimoni ad alto tasso alcolico. Da una parte il miliardario romano, indomito play-boy, Nicky Pende. Dall’altra il volto più quotato della famiglia reale d’Italia, quel Vittorio Emanuele nato re senza mai diventarlo. Il miliardario non va leggero con i titoli, tutt’altro che nobiliari. Ad un certo punto parte una fucilata: a sparare è l’erede al trono. Poco più in là, un giovane velista tedesco che sta dormendo nella sua barca viene colpito. Ha 19 anni, si chiama Dirk Hamer. Resta ferito gravemente. Ed è subito scandalo.
Per mesi le cronache di tutto il mondo e di tutti i colori, dal nero al rosa, dedicheranno sterminati spazi allo sparo nella notte. Purtroppo, a dicembre il ragazzo muore. Per il principe, un ulteriore macigno. Chiamato a rispondere della folle nottata, vede concludersi l’interminabile processo davanti alla «Chambre d’accusation» parigina soltanto nel 1991. Tutto sommato, un verdetto reale: assoluzione dall’accusa peggiore, omicidio volontario, e una leggerissima condanna per porto abusivo d’armi, sei mesi con la condizionale. I parenti del povero ragazzo incassano il risultato come uno scandalo. Non soltanto loro.
Dall’album di casa Savoia, altre immagini indimenticabili. Certo, la prima è quella che compare anche sui libri di storia: 14 febbraio 1937, ore 14.30, reggia di Napoli, nasce Vittorio Emanuele, erede al trono. Il casato aspettava con ansia: prima del maschio, Maria José aveva scodellato a Umberto una femmina, Maria Pia. Facile immaginare l’entusiasmo al battesimo di Stato, il 31 maggio successivo, nella cappella Paolina del Quirinale. Tra i cinquemila invitati, però, manca il più illustre: Benito Mussolini. Gran brutto segnale, non il primo e tanto meno l’ultimo: tra il duce e il sovrano ormai è gelo totale. Come vada a finire lo sappiamo più o meno tutti. Basta avanzare nell’album di casa Savoia. Il 6 giugno 1946, la famiglia reale lascia l’Italia, allontanata dai risultati di un referendum popolare. Per il piccolo Vittorio Emanuele e per le tre sorelle, chiamati a condividere il destino dei genitori senza corona, è l’esilio. E anche un lungo, malinconico, inesorabile oblìo popolare.
Sfogliando ancora l’album di casa Savoia: Vittorio Emanuele compare come un giovane dalla carriera scolastica affannosa, ma decisamente aperto ai casi della vita. Ama le macchine, che distrugge con una certa costanza, e ama anche il volo, che lo porta a prendersi il brevetto di pilota. Un giorno finalmente realizza il primo sogno: un biplano. Con una bella testa di tigre disegnata sulla fusoliera. È il momento di decollare, anche sui grandi scenari degli affari e delle amicizie internazionali. Non è mai facile dire con precisione quale mestiere faccia un principe senza trono. I biografi più disinibiti definiscono Vittorio Emanuele mediatore e piazzista di lusso, ponte nobile tra grandi imprese occidentali e dinastie orientali. Negli anni Settanta lo si vede al fianco del conte Agusta, in giro per il mondo a vendere elicotteri. Secondo un paio di giudici molto famosi all’epoca, non solo elicotteri. Il principe finisce spesso citato nelle inchieste sul traffico d’armi condotte da Carlo Mastelloni, a Venezia, e da Carlo Palermo, a Trento. Per dovere di cronaca, va subito riferito che comunque non risultano condanne. Le inchieste finiscono a Roma, in tutti i sensi.
Qualche pagina dopo, nell’album di casa Savoia. Ritagli che lo raccontano membro autorevole della massoneria. Alla lettera «S» dell’elenco P2 sequestrato nell’81 a Gelli si legge «Savoia Vittorio Emanuele, casella postale 842, Ginevra». Lì, in Svizzera, il principe e l’amata consorte Marina Doria hanno stabilito nuove radici. Una villa a Vesnaz, alternata con una bella dimora a Gstaad per l’inverno. Stando alle esternazioni della famiglia, la vita dell’esilio è però durissima. Ciclicamente, il principe e il figlio Emanuele Filiberto bussano alle porte d’Italia, chiedendo di tornare alle terre avite. Qui se ne parla, ma ogni volta che se ne parla sorgono problemi. Gli italiani di nuova generazione non hanno una grande passione per il tema. Oltre tutto, Vittorio Emanuele ci mette del suo: spesso con poche parole riesce a fare più danni della grandine. Epica la volta in cui - è il ’97 - incespica sulle leggi razziali: “Per quelle leggi io non devo chiedere scusa, e poi non sono così terribili“, dichiara al Tg2. Come una fucilata in chiesa, per lui che è del ramo. La frettolosa e traballante ritrattazione non attenua di molto gli effetti. Per un bel po’ di tempo, del rientro non si parla.
Ancora nell’album di casa Savoia, saltando qua e là. Nel 2002 c’è un uomo che giace su un letto. Raccontano i medici che per pochi millimetri ha evitato la sedia a rotelle. Frattura alla dodicesima vertebra lombare, rimediata nel Rally d’Egitto. “Sono molto fortunato“, dichiara il degente. E’ Vittorio Emanuele, che col trascorrere degli anni dimostra di non aver mai smarrito l’antica vocazione di indefesso sfasciacarrozze. Più avanti, nel 2004, si segnala anche come ottimo colpitore: ad una cena di gala in Spagna, culminata con una lite familiare, gonfia il cugino duca d’Aosta, che decisamente ha sempre sopportato poco.
Poi siamo alla penultima pagina, prima del carcere. L’immagine del 23 dicembre 2002, giorno del trionfale rientro in Italia, in un tripudio di applausi amici e di insulti nemici. Il casato che ha unito l’Italia, con il suo rientro la divide di nuovo.

I progetti del principe: «La politica non mi interessa, ho intenzione di vivere del mio lavoro: vorrei soprattutto seguire, direttamente nel mio Paese, tutte le attività benefiche che ho avviato in esilio». Adesso l’accusa di sfruttamento della prostituzione: vai a sapere cosa intenda per attività benefiche.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica