Da laboratori a ferri vecchi. Il declino delle fondazioni

Farefuturo e Italiafutura, Italianieuropei e Open: per una decina d'anni sono state il biglietto da visita dei politici. Oggi chiudono o si ridimensionano

Da laboratori a ferri vecchi. Il declino delle fondazioni

Di centrodestra, di centrosinistra, trasversali. La febbre delle fondazioni politiche, dopo avere impazzato nel Paese per almeno una decina d'anni con una costante fioritura di nuove sigle, sembra essere definitivamente passata. Utilizzate come laboratori di idee, come piattaforme per ambizioni personali, come bancomat, come biglietto da visita per allacciare rapporti, in alcuni casi come sostituti delle vecchie correnti, come strumento di (auto) selezione della classe dirigente, i loro destini appaiono oggi decisamente declinanti. Farefuturo, nata nel 2007 come sostenitrice delle svolte di Gianfranco Fini, ha lasciato la prestigiosa sede di via del Seminario a due passi dal Pantheon, si è trasferita in una struttura più ridotta e resiste cercando di ritagliarsi un ruolo grazie all'impegno di Adolfo Urso. Italiafutura non ha più Luca Cordero di Montezemolo come dominus e il suo successore Carlo Pontecorvo, presidente del gruppo Ferrarelle, ha dichiarato che «è finito il tempo dei pensatoi, la politica attiva è l'unica via per le riforme». Una sentenza e una indicazione dell'avvio di una nuova fase, decisamente più politica. «Cambiamo rotta, pensando a un possibile futuro elettorato. Rivediamo la lista delle priorità e guardiamo al sociale, all'associazionismo, ai territori ignorati».

La Fondazione De Gasperi, passata da Giulio Andreotti a Franco Frattini ad Angelino Alfano, ha lasciato la prestigiosa sede di Piazza San Lorenzo in Lucina e nonostante la «bollinatura» del Ppe (un imprimatur concesso a una sola fondazione per Paese) non brilla per presenza nel dibattito. Un ridimensionamento è stato compiuto anche da Gaetano Quagliariello per la sua Magna Carta e lo stesso processo di taglio dei costi è in corso per la Fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno. Vedrò, rete trasversale di condivisione di idee e rapporti, ha chiuso i battenti dopo aver raggiunto il suo obiettivo: portare Enrico Letta a Palazzo Chigi insieme a un buon numero di soci ministri, consolidando così la classe dirigente allevata in questo circolo bipartisan. Italianieuropei, trasformata in associazione, organizza eventi di respiro «europeo», ultimamente legati soprattutto alle presentazioni del libro di D'Alema «Non solo euro». Lo scorso anno si è anche piazzata ventiquattresima nella categoria Best Think Tank with political party affiliation nell'ambito della speciale classifica stilata dall'università della Pennsylvania. L'ex premier, però, è molto concentrato soprattutto sulla presidenza della Fondazione Feps dei progressisti europei, un ruolo che appare come un naturale trampolino per le sue ambizioni di futuro commissario europeo. Matteo Renzi, a sua volta, può contare sulla fondazione Big Bang, trasformata nel novembre scorso in Open, una sorta di cassaforte propedeutica alla sua scalata, incaricata di gestire le donazioni e organizzare gli eventi. Renzi, peraltro, ha appena nominato il presidente Alberto Bianchi nel cda dell'Enel (nel consiglio direttivo di Open figurano anche Maria Elena Boschi e due fedelissimi come Marco Carrai e Luca Lotti).

Naturalmente il caso Renzi fa storia a sé, visto che Open più che a un think tank somiglia a una cassaforte-quartier generale. Di certo, però, al di là delle operazioni di potere, le fondazioni non appaiono più centrali come laboratori di dibattito e di idee. Resistono come strutture funzionali a singoli esponenti, ma mostrano la corda nella capacità di attirare l'attenzione di finanziatori realmente coinvolti in un progetto. Sopravvive, invece, l'appeal di chi è stato abituato per anni a maneggiare la politica.

Un esempio? Goffredo Bettini - quasi 40 anni di vita da funzionario-stratega prima del Pci romano, poi del Pds, Ds e Pd - la scorsa settimana ha riunito al Gran Teatro nella Capitale, per una «cena popolare» oltre 2mila persone. Oltre 180 tavoli da 12 persone, per un minimo di 100 euro a persona. Il tutto per un incasso superiore ai 200mila euro. Niente male in tempi di antipolitica e di «rottamazione».

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