L'attacco dell'ideologo Becchi su Twitteril caso

RomaBeppe Grillo fa correre un brivido sulla schiena dei parlamentari di tutti gli schieramenti. Rilancia con forza il tema della illegittimità del Parlamento, basandosi su una sentenza della Cassazione che ritorna sull'argomento del «dopo-Porcellum». E prova a far passare il messaggio che la Suprema Corte abbia ribaltato il principio di continuità dello Stato enunciato dalla Consulta cinque mesi fa, spianando così la strada per il ritorno immediato alle urne.
«Dopo la Consulta, che a gennaio aveva dichiarato incostituzionale l'attuale legge elettorale» si legge nel blog del leader pentastellato «arriva il pronunciamento decisivo della Suprema Corte che mette nero su bianco una serie di considerazioni che potrebbero portare, secondo gli avvocati che hanno patrocinato la causa, addirittura a una impossibilità da parte del Parlamento a cambiare la legge elettorale. Insomma, l'Italicum di Renzi potrebbe essere approvato solo a fronte di nuove elezioni». L'offensiva è incrociata. Per Paolo Becchi, professore di Diritto considerato vicino al movimento, con «la sentenza della Suprema Corte n. 8878 del 2014 si accerta l'illegittimità non tanto della legge in se stessa (accertamento già svolto e spettante alla Consulta), quanto dei suoi effetti. In primo luogo, gli effetti sul diritto di voto dei singoli cittadini. Ma, appare evidente, anche sulla legittimità dei parlamentari eletti per effetto della legge elettorale». E lo stesso Grillo tuona su Twitter: «Parlamento illegittimo, Napolitano illegittimo». Poi è ancora Becchi ad andare all'attacco. «La sentenza offre una sponda politica all'affossamento definitivo dell Italicum, la legge elettorale promessa da Renzi entro febbraio e di cui ormai nessuno più parla. Si trattava di una controriforma fatta per spartirsi tutto lo spazio politico tra Pd e Forza Italia eliminando il M5S. Ma poiché ora ci si rende conto che la forza del Movimento è tale da poter arrivare al ballottaggio, ecco che l'Italicum deve essere abortito».
Il caso è naturalmente più complesso di come viene raccontato dai grillini. Sono, infatti, gli avvocati che hanno patrocinato la causa a ipotizzare una impossibilità da parte del Parlamento di poter intervenire sulla legge elettorale. E sono poi loro stessi, in una lettera indirizzata al Capo dello Stato ad auspicare «gli atti necessari affinché il popolo italiano sia finalmente messo in grado di esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale». In realtà la sentenza depositata il 16 aprile se da una parte riconosce la lesione del diritto di voto dei contraenti, sulla falsariga di quanto già stabilito dalla Consulta, dall'altra puntualizza che «le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono un atto concluso». E aggiunge: «Del pari non sono riguardanti gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Tale precisazione che si giustifica per il fondamentale principio di continuità dello Stato riguarda gli effetti della sentenza costituzionale sull'operatività degli organi costituzionali e sui relativi provvedimenti ma non attenua l'incostituzionalità che è stata accertata e dichiarata».

Insomma, di fatto, la Cassazione non evoca o prescrive il ritorno al voto ma piuttosto sottolinea e rafforza il «fatto concluso» e ritiene che i diritti di chi ha fatto ricorso debbano essere ritenuti riconosciuti, essendo stato ripristinato il diritto a votare liberamente.

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