«Sono cresciuta in una famiglia in cui io e le mie quattro sorelle siamo state abituate a considerare il suolo pubblico più importante della nostra stessa casa». Carla Fendi ha avuto questa fortuna, quella di avere gli strumenti per riconoscere il bello, amare la cultura, ammirare l'arte e avere il desiderio di conservare tutto questo. Ora pensa ai giovani d'oggi e con la sua Fondazione vuole aiutarli a condividere questo enorme rispetto per i nostri tesori.
Signora Fendi, si tratta di cambiare una mentalità forse troppo assuefatta alle bellezze dell'Italia, fino a sminuirne l'importanza e la fragilità?
«Credo che sia molto importante che le nuove generazioni capiscano, fin dai banchi di scuola, che il patrimonio artistico-culturale non va solo studiato sui libri ma anche protetto con l'impegno in prima persona. Che non va danneggiato, ma piuttosto avvolto da un velo, metaforico naturalmente, per preservarlo da contatti pericolosi».
Lei crede molto nel ruolo dei privati per la conservazione dei nostri beni.
«Sono beni di tutti e tutti a qualsiasi livello li dovrebbero preservare, abituandosi a donare qualcosa in proporzione alle possibilità e alla fascia sociale, per mantenerli».
Lei fa questo con la sua Fondazione nata nel 2007. Qual è la sua missione e la sua anima?
«Proprio quella di dare l'esempio che anche il privato può avere il desiderio disinteressato di fare donazioni per tutelare le bellezze della nostra meravigliosa Italia. E spero che il nostro Paese, quando sarà in condizioni migliori, possa favorire i mecenati pubblici e privati anche con degli sgravi fiscali, come succede all'estero, in particolare negli Stati Uniti. Questa è la nostra vera ricchezza, un petrolio che può alimentare tutto, che ha un grande ritorno in termini di lavoro, di occupazione, di turismo, di crescita».
Invece il nostro patrimonio non è adeguatamente conservato e valorizzato.
«Senz'altro, ma bisogna anche pensare che da noi ogni piccolo paese ha i suoi tesori. Ecco perchè c'è bisogno dell'aiuto capillare di tutti gli italiani».
Parliamo del suo impegno a Spoleto, per il rilancio del Festival (in programma dal 28 giugno al 14 luglio, ndr). Lei è Main Partner, presidente onorario della Fondazione Festival dei Due Mondi ed è entrata quest'anno nel nuovo consiglio d'amministrazione.
«Nell'agenda Fendi c'è sempre stato il Festival di Spoleto, nato grazie ad un uomo geniale come Giancarlo Menotti. Dopo la sua morte c'è stato un momento non felice, di disorientamento. Ma con la direzione di Giorgio Ferrara è arrivata la svolta positiva».
Il cartellone di quest'anno presenta una serie di eventi importanti e il ritorno di personaggi famosi, come Piero Tosi, che dopo 30 anni di assenza firma i costumi realizzati dalla storica sartoria teatrale Tirelli, nell'opera di apertura del cartellone del Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi, ieri sera, finanziata dalla sua Fondazione: Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa .
«Sì per noi è stata una grande conquista, anche perchè l'evento si è tenuto nel teatro Caio Melisso che abbiamo iniziato a restaurare nel 2010 con il Comune di Spoleto, contribuendo con un milione e mezzo di euro. Finora è stato inaugurato il foyer, con l'ingresso e la biglietteria, nel 2012 è stato presentato il Sipario Storico Apoteosi di Caio Melisso e la Scena Ricca, entrambi di Domenico Bruschi e quest'anno si mostrerà il restauro del palco reale, del salotto di rappresentanza e il rifacimento delle mantovane dei tre ordini di palchi in un solo vettore verticale e il completamento delle mantovane di tutti i palchi del secondo ordine, questa fase ha richiesto interventi maggiori di quelli che credevamo».
Quanta fatica e quante difficoltà ci sono stati in questi anni?
«Abbiamo avuto parecchi problemi per la burocrazia, i controlli, le ispezioni. Eppure, quando ho deciso di contribuire al restauro questo gioiello in piazza Duomo si stava sgretolando per gli anni e l'abbandono. Abbiamo deciso di recuperare il Sipario storico e la Scena Ricca proprio in tempo perchè erano molto danneggiati e abbiamo scoperto dei giovani restauratori della periferia di Spoleto, che hanno fatto un lavoro meraviglioso. Ho capito da tempo che non basta dare il denaro e delegare tutto, bisogna seguire passo passo il progetto per non alterare gli oggetti preziosi».
Lei come ha fatto a dare questo contributo continuo?
«Per curare l'opera di restaurazione ho chiamato, a mie spese, due grandi esperti come il professor Cesare Rovatti e il professor Carlo Savi che hanno tutta la competenza necessaria. Ci vorranno ancora degli anni, forse tre, ma ogni volta che ci sono gli spettacoli il teatro viene riaperto. Così, è sempre vivo».
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