Lavoro, Renzi pone la fiducia E Alfano si piega a Pd e Cgil

Il governo blinda il decreto, nell'esecutivo è scontro. Quelli di Ncd prima minacciano ("Non lo votiamo"), poi fanno dietrofront. Il premier: "Non ci sto a perdere la faccia"

Lavoro, Renzi pone la fiducia E Alfano si piega a Pd e Cgil

Matteo Renzi fa il «furbetto del decretino» e mette la fiducia sul tribolato decreto lavoro, approdato ieri alla Camera tra gli strali non solo delle opposizioni «regolari», ma anche di Ncd, Scelta Civica e parte del Pd. Tutti convinti che le modifiche ispirate dalla sinistra Pd e dalla Cgil apportate in sede di commissione al decreto lo abbiano annacquato. Del resto sulla formulazione iniziale del decreto Poletti era d'accordo anche Forza Italia, che con Renato Brunetta parla di «ennesimo pasticcio del governo Renzi».
Ma Forza Italia, la Lega e i Cinque Stelle sono per un giorno spettatori di un tutti-contro-tutti interno alla maggioranza, che mostra salute malferma persino a Montecitorio, dove pure i numeri sorriderebbero al sindaco d'Italia. Il quale in serata parla di polemiche «tipiche di un momento in cui si fa campagna elettorale» e tira dritto: «Noi vogliamo governare. Sui dettagli discutiamo ma alla fine si chiuda l'accordo perché non è accettabile non affrontare il dramma della disoccupazione, se non si decide la politica perde la faccia. Se vogliono perdere la faccia facciamo pure, io no». Quanto a Forza Italia e M5S «le polemiche di Brunetta o Grillo sono due facce della stessa medaglia: loro sono il partito dei chiacchieroni che si divertono con i comunicati stampa, noi facciamo le cose concrete. I soldi arriveranno non per maggio ma per sempre. Si poteva fare meglio? Può darsi ma loro stanno alle chiacchiere». Parole che chiudono un martedì di alta tensione, iniziato con la spavalderia del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan («Il decreto lavoro accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidando») e proseguito con l'iniziale durezza degli alfaniani (Fabrizio Cicchitto: «Al momento non c'è accordo sul decreto lavoro, noi non lo votiamo»). La distanza è grande, urge una trattativa. In un vertice tra i capigruppo di maggioranza e i ministri del Lavoro e delle Riforme Giuliano Poletti e Maria Elena Boschi si cerca una mediazione che non arriva: l'Ncd chiede modifiche sulle sanzioni per l'apprendistato, il Pd vuole in cambio che scenda da 5 a 4 il numero dei contratti a termine in 36 mesi. Alla fine ecco la decisione di porre la fiducia e lo stiracchiato sì sia da parte di Sc sia da parte di Ncd dietro la promessa di correttivi al Senato. Insomma, la guerra è solo rimandata.
Nel frattempo ci sono problemi anche in commissione Bilancio, chiamata a dare parere sugli emendamenti: i componenti di Ncd, Dc e Udc sono assenti annunciati, quelli del Pd assenti ingiustificati, il governo rischia di andare sotto. Il presidente della commissione Francesco Boccia fa una mezza porcata e sospende la seduta, i trombettieri del Nazareno reclutano fedelissimi renziani di altre commissioni, la riunione riprende e il «sì» della commissione passa per un soffio. Insomma, pasticci su pasticci. Che insozzano una riforma strategica e soprattutto sono il sintomo dello stato di salute precario della combriccola che sostiene l'esecutivo. «La maggioranza sul decreto lavoro sta offrendo uno spettacolo indecoroso al Paese e ai mercati», attacca Osvaldo Napoli di Forza Italia. «Ancora una volta nel Pd prevale un'impostazione ideologica. Era stato fatto un decreto che flessibilizzava il mondo del lavoro dopo i tanti danni fatti dalla legge Fornero, oggi si torna indietro: si limita la flessibilità e si peggiora il lavoro fatto fino a esso», lamenta Giovanni Toti, consigliere politico di Silvio Berlusconi.

Dal canto suo il M5S chiede di mettere ai voti il rinvio del testo in commissione e raccoglie il parere favorevole della Lega. Affetta ottimismo il ministro Poletti: «Le distanze sul merito ci sono, ma sono limitate». Ma gettare il cuore oltre l'ostacolo non sempre basta.

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