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Lega, Bossi sfida i pm e chi lo vuole spazzare via

Resta freddo sulla visita di Maroni in procura e lavora in via Bellerio: vuole dimostrare ai suoi che il capo non molla. Bilanci irregolari: 4 indagati a Reggio Emilia

Lega, Bossi sfida i pm  e chi lo vuole spazzare via

Al mattino in via Bellerio ci sono Roberto Calderoli e Roberto Maroni. Nel pomeriggio Calderoli e Umberto Bossi. È una staffetta, quella tra il vecchio leader e il nuovo che avanza. Settimana scorsa, settimana di passione, il Senatùr si è presentato nella sede della Lega ogni mattina, puntuale, perfino in un giorno come sabato quando gli uffici padani sono chiusi. Qualcuno ha sospettato che l’Umberto preferisse far venire sera a Milano piuttosto che a casa, a Gemonio, con moglie e figli. Quelli «che portano il mio cognome», ha detto l’altra sera a Bergamo tra le lacrime, e che «hanno combinato i guai peggiori».

Quelli che l’hanno costretto all’umiliazione di doversi scusare in pubblico.
«Devo tenere unito il partito», diceva Bossi nei giorni scorsi. «Non dobbiamo cadere nel trappolone di chi soffia sulle divisioni», ha ripetuto in un’intervista che la Padania pubblica questa mattina. A qualcuno «piacerebbe la Lega divisa. Il valore dell’unità è un bene assoluto. La Lega è una, guai a indebolire la sua compattezza». Perché il rischio di una rottura non è scongiurato. Non tutto il Carroccio si sta allineando al nuovo corso imposto dalla manifestazione bergamasca, che lo stesso Bossi definisce «commovente» e «coinvolgente».

Rosi Mauro disobbedisce agli ordini del Senatùr e preferisce farsi sfiduciare dal consiglio federale piuttosto che dimettersi dalla vicepresidenza del Senato. Monica Rizzi, assessore regionale lombardo e fedelissima di Renzo Bossi, prevede che «se Maroni diventasse leader della Lega il partito morirebbe in sei mesi» perché «senza Bossi siamo finiti, ci votano solo perché c’è lui». Parlamentari come Giuseppe Leoni e Giacomo Chiappori non perdono occasione per lanciare frecciate avvelenate verso l’ex ministro dell’Interno.

Non sono posizioni isolate. Nonostante l’esibizione dell’orgoglio leghista, il Carroccio non è tornato il monolite inscalfibile che è stato per 25 anni. Bossi sembra ancora l’unico in grado di mantenere l’unità interna, il solo a guardare oltre il repulisti richiesto dalla base. «Pulizia e ripristino della legalità» sono necessarie, ma «eventi esterni aspettano solo il momento opportuno per cavalcare divisioni».

Per questo il Senatùr continua a frequentare via Bellerio. I militanti devono vedere che, nonostante il «complotto giudiziario», il capo non abbandona. Il suo astro non è tramontato. Lo sa bene anche Maroni, che lo rivoterebbe come segretario se il Senatùr volesse ricandidarsi. Opzione non del tutto accantonata. Ripresentarsi come unico garante possibile dell’unità leghista è un asso che Bossi non esclude di giocare al momento giusto, in extremis. Senza accontentarsi della poltrona di presidente, un ruolo di vertice ma sostanzialmente privo di potere.

Per il momento, meglio non scoprire le carte e lasciare lavorare il triumvirato. Ieri mattina i tre (Maroni, Calderoli e la Dal Lago) si sono dati appuntamento in via Bellerio. Sono arrivati anche due veneti di peso, il segretario regionale Giampaolo Gobbo e il sindaco di Verona Flavio Tosi. Si è parlato del congresso regionale del 3 giugno che nominerà il successore proprio di Gobbo e per il quale Tosi, «barbaro sognante» doc, è dato per favorito. Lo ammette lui stesso: «Dopo le amministrative non escludo una mia candidatura». Soprattutto se sarà riconfermato al primo turno. Quanto al congresso federale, oggi il consiglio federale (il terzo in dieci giorni) che espellerà Belsito cercherà di fissarne la data a giugno, secondo quanto annunciato a Bergamo da Maroni.
L’ex inquilino del Viminale sembra avere mano libera.

Bossi avalla anche la sua visita in procura assieme al nuovo tesoriere Stefano Stefani. «Hanno fatto bene a dare disponibilità ai chiarimenti», dice Bossi alla Padania. Ma quella visita non proprio di cortesia non è un bel segnale per il Senatùr. Via Bellerio dovrà fornire l’intera documentazione contabile degli ultimi cinque anni di vita leghista: bilanci, fatture, ricevute, note spese, tutto.

E il contenuto della cartellina «The Family» ha rivelato dettagli da cui è difficile pensare che Bossi fosse completamente all’oscuro di tutto. È per questo che dal vecchio leader parte un avvertimento: «Non dimentichiamoci che i tempi della politica non li decide la magistratura».

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