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Controribaltone: Pier Luigi finisce isolato

L'ex leader si è inimicato pure i suoi. E oggi si decidono le regole per eleggere il segretario

Controribaltone: Pier Luigi finisce isolato

Roma - «Il Pd è come un suk», dice la ministra Cécile Kyenge.
Lo dice, precisa, «nel senso positivo del termine», perché nel partito «convivono gruppi, correnti, modi di vivere diversi». Ma l'idea di traffici, andirivieni frenetici e cacofonia che la parola «suk» evoca si attaglia come un guanto al soggetto in questione. Dentro il quale la guerriglia, che ha per oggetto il congresso e dunque i futuri equilibri di potere, è solo agli inizi.
Il primo fronte lo ha aperto l'ex segretario Pier Luigi Bersani, che in vista delle assise cerca di recuperare spazio e di ricostruire la propria corrente per contrastare l'avanzata renziana. Prima il documento «contro il leaderismo» (altrui), che però ha avuto l'effetto di spaccare innanzitutto quello che era il fronte bersaniano, con Stefano Fassina che lo ha firmato e Matteo Orfini che si è tirato fuori. Poi il ballon d'essai sul «governo del cambiamento» coi transfughi grillini, che quasi nessuno vede come prospettiva realistica se dovesse cadere il governo Letta, ma che ha fatto arrabbiare non poco anche un altro ex bersaniano come Andrea Orlando, oggi ministro. Per non parlare di come l'ha presa il premier Enrico Letta. Per capirlo, basta sentire cosa dice un suo stretto collaboratore come Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: «Governo di cambiamento? Bellissimo, ma è possibile quando si vincono le elezioni: un governo di cambiamento di sinistra ha bisogno di prendere il 51% dei voti. Su questo la penso come Renzi». Il messaggio sottinteso dei lettiani a Bersani è: noi, con la tua leadership, le elezioni le abbiamo perse. Dunque basta cianciare di improbabili nuove maggioranze, mettendo in pericolo il governo che ora c'è.
Solo il governatore della Toscana Enrico Rossi, unito a Bersani dall'odio viscerale per Renzi, si è entusiasmato alla prospettiva: «Se si aprisse la possibilità di una maggioranza diversa con i dissidenti 5 Stelle, verrebbe meno la necessità della strana maggioranza col Pdl e ne vedremmo delle belle». Poi l'affondo sul sindaco di Firenze: «Non è l'uomo di cui ha bisogno il Pd adesso». Ad infilzare lui e Bersani ci pensa la neo governatrice del Friuli, Debora Serracchiani: «Mi sembra che il Pd, ogni tanto, si cacci in un mondo virtuale, alla Blade Runner. Il governo di cambiamento è una prospettiva lontana». Quanto a Renzi, «è la risorsa che il Pd in questo momento ha. Matteo però faccia una scelta, e in fretta, così ci sarà chiarezza».
Per fare una scelta, però, servirebbe sapere come e quando il Pd andrà a congresso. E su questo, per ora, vige la confusione più totale. L'unica cosa chiara è che, per ragioni diverse, tutti - tranne il potenziale vincitore - vogliono rimandare il congresso più in là possibile, al 2014, nonostante lo statuto dica che va celebrato entro l'autunno. Enrico Letta per scavallare le elezioni europee e il semestre di presidenza italiano della Ue, mettendo il governo al riparo dai contraccolpi politici che un nuovo assetto di potere nel Pd scatenerebbe («Organizziamo tutto senza fretta, se servono sei mesi prendiamoci sei mesi», dice Boccia). Bersani per organizzare il fronte anti renziano. Epifani perché più in là si va più lui resta al Nazareno e può sperare di riproporsi come candidato di mediazione. A fine anno Renzi deve decidere se ricandidarsi a Firenze, e il rinvio serve anche a metterlo in difficoltà su questo. Oggi si riunisce per la prima volta la Commissione del Pd che deve decidere le regole, e lo scontro si aprirà ufficialmente.

I senatori del Pd. Ma anche in questo caso una decina di renziani non parteciperebbero a maggioranze ripensate

Il numero dei grillini che sarebbero pronti a partecipare a nuove maggioranze: 20 alla Camera (su 107), 30 al Senato (su 53)


I piddini alla Camera. In caso di maggioranze alternative però andrebbero sottratti una quarantina di renziani

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