RomaAnche Roberto Maroni alle prese col nodo «cadreghe». La dead line per la compilazione delle liste s'avvicina ma i giochi sono praticamente fatti. «Giochi sporchi», denunciano i leghisti di sicura fede bossiana che parlano apertamente di epurazione. Sì perché tutti quelli che un tempo erano vicini al Senatùr non vedranno più il Parlamento. Umberto Bossi ieri è andato in via Bellerio a manifestare la sua contrarietà e chi gli ha parlato lo ha descritto furioso. Ma al quartier generale del Carroccio non ha trovato praticamente nessuno: segno che ormai il dado è tratto. Per i bossiani la strada è sbarrata.
«Bobo ha segato tutti tranne il capo», dice un ormai ex parlamentare. Sì perché «il capo Bossi» un posto alla Camera ce l'ha assicurato ma quelli che erano gli uomini a lui più vicini ormai sono fuori. O quasi. In lista, ma molto in fondo, vengono dati Alessandro Montagnoli (Veneto) e Alberto Torazzi (Lombardia). Per il resto è tabula rasa. L'ex capogruppo Marco Reguzzoni s'è tirato indietro nonostante Bobo gli avesse ripetutamente offerto il seggio. L'ex capogruppo al Senato, Federico Bricolo, è stato messo in segreteria federale: tipico caso di promozione-rimozione. Carolina Lussana e Paola Goisis non sono neppure state chiamate per firmare l'accettazione di un'eventuale candidatura. Marco Desiderati almeno è stato chiamato a firmare ma lui non c'è andato: «Prima voglio vedere le liste», ha obiettato. Quindi nulla. Fuori anche i senatori Armando Valli e Giovanni Torri. Quest'ultimo con ira: «Dopo la notte delle scope, la Lega è incoerente. E le scelte fatte dalla dirigenza nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la meritocrazia», accusa. Strada sbarrata anche per Guido Dussin e Fulvio Follegot. Anche se non bossiana, bocciata pure la coriacea Manuela Dal Lago: correrà per il comune di Vicenza. «Non solo sono stati fatti fuori tutti i bossiani ortodossi. Hanno escluso anche chi all'epoca non s'è apertamente schierato con Maroni», confessa un deputato leghista.
Allora chi si contenderà i posti disponibili che, secondo i sondaggi, dovrebbero essere circa 20 alla Camera (erano 59 ndr) e 15/20 al Senato? Di certo, oltre all'ex «capo» Bossi, Giulio Tremonti e Roberto Calderoli. Poi ci saranno il giovane triestino Massimiliano Fedriga, i lombardi Matteo Salvini, Andrea Gibelli, Giovanni Fava, Giancarlo Giorgetti, Giacomo Stucchi, Paolo Grimoldi, Marco Rondini, Christian Invernizzi, Matteo Bianchi, Nicola Molteni, Igor Iezzi e Davide Caparini. Certi anche gli emiliani Gianluca Pini e Fabio Ranieri e la ligure Sonia Viale. Al Senato dovrebbero trovar posto Massimo Garavaglia, Raffaele Volpi e Silvana Comaroli. Non potrebbero correre, per via di una regola voluta dal veneto Flavio Tosi, Stefano Stefani e l'attuale capogruppo alla Camera Giampaolo Dozzo. «Non candidiamo chi ha più di due legislature alle spalle», aveva detto Tosi. Ma per loro è arrivata la deroga. Per Stefani e Dozzo (che però è dato traballante) sarebbe la quinta legislatura.
Cosa che fa infuriare il deputato Desiderati: «Maroni continua a dirci che la battaglia epocale non è a Roma ma in Lombardia.
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