L'Ue: «Sì al cognome della madre»

Milano Confesso che nel nostro lessico familiare non avevamo aspettato la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo: a casa li chiamavamo già così, «i Cusan», col cognome della madre. Maddalena, sua sorella, suo fratello: i miei tre nipoti, i tre figli di mio fratello maggiore, Luigi, che da ieri occupano un piccolo ma significativo posto nella storia del nostro paese. La corte di Strasburgo ha stabilito che in Italia l'atavica norma che dà ai figli il cognome del padre non ha più nulla a che fare con la realtà dei costumi e delle convinzioni di oggi. É una battaglia che mio fratello a sua moglie Alessandra hanno iniziato quattordici anni fa, quando è nata Maddalena, e che da allora hanno continuato a combattere tra alti e bassi. Noi, gli altri fratelli, la famiglia, assistevamo un po' partecipi e un po' perplessi a quella che in parte ci pareva una battaglia sacrosanta: ma che, almeno a me, appariva come tutte le battaglie di principio destinata alla fine ad attaccare i mulini a vento.
Il mio scetticismo è stato giustamente sconfitto: a ricordare che c'è sempre prima o poi una Rosa Parks che costringe le leggi ad adeguarsi al mondo. Adesso l'Italia sarà costretta - e dovrà farlo davvero, perché le sue norme violano la convenzione dei diritti dell'Uomo, che vale più della legge - a adeguarsi. Il cognome sarà scelto alla nascita: padre o madre. E per i già nati? I miei nipoti smetteranno di chiamarsi Fazzo, e si chiameranno finalmente Cusan come la loro mamma? Ieri, a botta calda, ancora un po' increduli, mio fratello e sua moglie spiegano ai giornalisti che li assediano che non sarà così, e che i tre ragazzi non muteranno cognome: a ribadire che la battaglia era solo di principio, e che chiamarsi nell'uno o l'altro modo era assolutamente indifferente. Se non fosse stato per quel retaggio patriarcale che l'obbligo del cognome Fazzo si portava dietro nel caso specifico.
D'altronde mio fratello Luigi (un anno più vecchio di me, avvocato civilista, una vecchia passione condivisa per il rugby e una più recente e più misteriosa per i funghi) è sideralmente lontano da clichè patriarcali: proprio per questo si è trovato pronto a battersi accanto a sua moglie, ma proprio per questo, ora che hanno vinto, Alessandra sarà d'accordo con lui nel non costringere i figli ad avvisare il mondo della mutazione. Peraltro una volta gli sarebbe bastato cambiare biglietto da visita e carta da lettere; oggi nel loro frenetico universo virtuale di adolescenti hi tech servirebbe una rivoluzione per spiegare ai diecimila contatti di WhatsApp e di Facebook che Maddalena Fazzo non esiste più e che al suo posto esiste Maddalena Cusan, ma che è sempre la stessa spilungona con i capelli viola ed i modi insolentemente garbati. Continuerà a chiamarsi Fazzo, e come lei suo fratello e sua sorella: ma avrebbero potuto chiamarsi Cusan. La battaglia è vinta.
La sentenza di ieri è arrivata dopo anni di rimpalli tra tribunali, Cassazione, Corte Costituzionale: con Luigi e Alessandra costretti a un certo punto a tirare il freno a mano perché la faccenda si ingarbugliava e rischiava di andare a finire che Maddalena aveva un cognome e i suoi fratelli un altro. Per loro sarebbe stato sgradevole, per me - che dei dieci nipoti complessivi già a volte sbaglio i nomi di battesimo - sarebbe stata una catastrofe. Ma il ricorso alla Corte europea è andato avanti, e il Parlamento di Roma, che delle sollecitazioni della Corte Costituzionale si è infischiato per anni, ora dovrà adeguarsi all'ordine che viene da Strasburgo.

E a combinare tutto questo casino sono stati mio fratello e mia cognata! La quale se ieri le chiedo «Alessandra, ma chi te lo ha fatto fare? E non temi che adesso i coniugi litigheranno anche sul cognome oltre che sul nome da dare ai figli?» mi risponde: «Basta mettersi d'accordo al momento del matrimonio, come si fa già per la separazione dei beni. D'altronde, che senso ha accordarsi sulla grana ma non sul nome dei figli? Mi sembra di cattivo gusto».

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