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Il magistrato inchiodato pure alla Camera

Nel 1980 il presidente della Commissione antimafia (Pci) denunciava al Guardasigilli: "Esposito fazioso e troppo protagonista"

Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito

Se la condanna di Berlusconi e la scivolata dell'intervista al Mattino hanno «regalato» al giudice Antonio Esposito un picco di notorietà, sarebbe ingeneroso negare che anche in passato la toga era riuscita a far parlare di sé. E non sempre benissimo. Per dirne una, il 10 gennaio del 1980 qualcuno già gli aveva dato pubblicamente e ufficialmente del «fazioso», sottolineandone il «vizio» delle interviste inopportune. Non era un giovanissimo Ghedini, ma un dirigente del Pci. Ma andiamo con ordine.
All'inizio del 1980 l'attuale presidente della sezione feriale della Cassazione era ancora pretore a Sapri, incarico che ha ricoperto per un quarto di secolo, dall'inizio degli anni '70 a metà dei '90. E la sua conduzione del piccolo ufficio giudiziario doveva sollevare qualche perplessità se quattro deputati, tra cui l'ex presidente della Commissione antimafia, Abdon Alinovi del Pci, rivolsero un'interrogazione al ministro della giustizia.
Alinovi e gli altri firmatari (Giuseppe Amarante e Giuseppe Vignola del Pci, Domenico Napoletano del gruppo misto: tutti campani), nell'interrogazione concessero poco alla diplomazia. «L'operato del suddetto magistrato è oggetto di universale riprovazione da parte delle popolazioni del mandamento - si legge nel testo dell'atto – per i comportamenti antisociali più volte tenuti, per la faziosità che ne caratterizza l'azione con interferenze anche nelle scelte politiche ed amministrative, per i legami di assai dubbia natura che lo collegano a gruppi di potere locale, per le interviste da lui rilasciate a radio private attraverso le quali, deformando e falsificando fatti e circostanze, getta discredito sulle forze politiche e su una parte della magistratura». Alinovi e gli altri, inoltre, segnalavano come questi comportamenti del pretore fossero al centro di «esposti» inviati da «gruppi di cittadini direttamente al ministro di Grazia e giustizia», e invitavano il titolare del dicastero di via Arenula – all'epoca Tommaso Morlino – ad «ascoltare di persona i firmatari» e a «promuovere un'indagine rigorosa e accurata» sull'amministrazione della giustizia a Sapri, per «ripristinarne il prestigio». Lo stesso giorno, anche i socialisti Carmelo Conte e Nicola Trotta presentarono un'interrogazione sulla toga di Sapri «per sapere se è vero che le popolazioni del golfo di Policastro vivono un rapporto tormentato, incerto, preoccupato e timoroso con l'amministrazione della giustizia stante l'aperta contestazione verso il pretore», accusato di «parzialità di trattamento nell'esercizio delle sue funzioni».
Entrambe le interrogazioni sono ancora nelle banche dati della Camera, lo stato è «iter in corso». Ossia Morlino e i 22 ministri della Giustizia che l'hanno seguito in questi 33 anni e mezzo non si sono mai degnati di dare una risposta.
Se i politici della prima Repubblica avevano una considerazione quantomeno controversa del futuro alto magistrato Esposito, anche la stampa manifestava qualche perplessità. Per esempio a marzo 1981 – altri tempi – l'Unità titolava: «Dopo l'ennesima inchiesta – Il pretore di Sapri se la cava di nuovo: prosciolto dal Csm». Il giornalista salernitano Fabrizio Feo, oggi al Tg3, a maggio 1981 sul periodico di Joe Marrazzo Dossier Sud dedicò a Esposito un ritratto a tinte molto forti, definendolo «uno dei magistrati più discussi e chiacchierati d'Italia», un «uomo di rispetto» e snocciolando aneddoti e «incidenti di percorso». Tra i tanti, l'aver accusato «l'ex sindaco di Sapri Ugo Barra del reato di omissione d'atti d'ufficio: secondo Don Antonio (Esposito, ndr) non aveva voluto concedere la licenza edilizia per la costruzione di ben dieci palazzine». Ma la licenza era «palesemente illegittima», proseguiva l'articolo, tanto da giungere «al paradosso per cui il pretore di Sapri perseguiva un cittadino colpevole di non aver voluto commettere un reato». Indimenticabile anche l'attacco del pezzo: «Quando Antonio Esposito lasciò Scalea, la gente ne fu così felice da esplodere fuochi artificiali.

Può sembrare una favola e invece è una storia vera».

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