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Il mondo è un grande Comune Così i sindaci vanno al potere

Da Renzi a Johnson, da Lodi a Chicago: dai Municipi parte la scalata dei primi cittadini ai governi centrali. Un fenomeno trasversale e globale

Il mondo è un grande Comune Così i sindaci vanno al potere

Il mondo è un grande Muni­cipio. C’è un sindaco per tutti: Matteo Renzi si pren­de Palazzo Chigi e si trascina un fenomeno che è italiano, ma non solo; che passa per lui, ma non solo. Accanto al premier in­caricato, al tavolo delle consul­tazioni, c’erano Graziano Delrio e Lorenzo Guerini. En­trambi nascono politicamente sindaci: di Reggio Emilia e di Lo­di. L’altra sera per sfotterli ha detto così: «Oh, che io ho fatto il sindaco per davvero, mica come voi due». C’è un orgogliodilagante nella politica: quello di chi ha amministrato una città e ora punta al Paese. Se allarghi il cir­colo, il fenomeno cresce: nel gi­ro renziano ci sono Piero Fassi­no, sindaco di Torino, e Miche­le Emiliano, sindaco di Bari.

C’è chi ricorderà che qualche tempo fa qualcuno lanciò l’idea del «partito dei sindaci»: trasversale, non ideologico, te­nuto insieme dagli stessi pro­blemi nel rapporto col gover­no, con le Regioni, con le Pro­vince. Più o meno quel partito corrispondeva all’Anci, l’asso­ciazione nazionale dei comuni che negli ultimi anni ha visto crescere la sua influenza in ma­niera esponenziale. Poi l’Anci invece di diventare partito ha scelto la strada della lobby, pe­rò i sindaci che non s’acconten­tavano la mossa l’hanno fatta. Renzi è partito e s’è tirato dietro gli altri.

Abbiamo avuto l’era delle Re­gioni, adesso tocca ai Comuni. È la città che s’allarga fino al po­tere centrale, è il locale che di­venta globale in Italia e all’este­ro. Perché l’era del sindaco non è solo roba nostra: il Financial Times sabato ha dedicato la co­pertina del suo settimanale al sindaco di Chicago, Rahm Ema­nuel: «Dopo i successi alla gui­da della sua città, può ambire al­la Casa Bianca», s’è chiesto il giornale della City? Nella corsa all’alternativa a Hillary Clinton, quantomeno per i demo­cratici, c’è qualcuno che punta su di lui. L’essere sindaco è un punto di forza. Perché questo è il fenomeno: a chi guida Comu­ni, gestisce metropoli, manda avanti Municipi viene attribui­ta adesso più credibilità rispet­to a quanto accadesse prima. È qualcosa di nuovo che ha avuto una prima codificazione l’an­no scorso, quando il politologo della Rutgers University, Benja­min Barber ha scritto If Mayors Ruled the World , un saggio in cui spiega come e perché il mon­do funzionerebbe meglio se a governarlo fossero i sindaci.

Barber, citato sabato in un ar­ticolo di «Pagina99» su questo stesso tema, è il teorico di cui proprio Matteo Renzi ha parla­to durante la direzione naziona­le del Pd del 6 febbraio scorso. Nel suo libro spiega che siamo entratiin un’epoca incui ci sia­mo resi conto che gli Stati non funzionano più. La soluzione è cambiare l’approccio alla vita pubblica: parlare delle città. Il perché è semplice, forse anche semplicistico:nelle città c’è vici­nanza con l’elettorato, c’è il con­tatto diretto con la creazione delle imprese e con i loro pro­blemi, con la nascita e lo svilup­po di economie piccole, medie e grandi. I sindaci sono il riferi­mento. Sono i capi della città­stato contemporanea, quella che cresce perché la demogra­fia e l’urbanizzazione portano a concentrare la gran parte del­la popolazione nelle metropo­li. La credibilità di chi ammini­stra una città si misura, si tocca, si certifica, quando è possibile si vota anche. Prendi l’Italia: il sistema elettorale dei sindaci funziona perché garantisce un vincitore e uno sconfitto. Que­sto permette di misurare, di pe­sare, di valutare. Il paragone con i Parlamenti, poi, agevola la creazione del consenso tra­sversale che hanno i sindaci: non c’è un solo sondaggio pla­netario che attribuisca alle Ca­mere, e ai Congressi, la capaci­tà di fare leggi che risolvano i problemi dei cittadini. Allora i sindaci prendono campo, con­quistano terreno.

Martedì pomeriggio, Micha­el Bloomberg, ex sindaco di New York, ha twittato questo: «Solo i sindaci potranno cam­biare il pianeta ». Si riferiva al te­ma del riscaldamento globale, noioso come poche cose sulla faccia della terra, ma la pensa al­lo stesso modo su tutto, tanto da aver creato una comunità mondiale che mette insieme i sindaci di tutte le più importan­ti città del mondo. Sono i leader che contano, secondo Bloom­berg. Lo dice lui e lo certifica l’at­tualità. Perché Renzi e perché a Madrid Ana Botella ha ripreso quota dopo gli errori del 2012 ed è un credibile candidato alla successione di Rajoy alla guida della Spagna; perché a Londra, Boris Johnson è il simbolo dei sindaci che governano il mon­do: è considerato più leader di David Cameron, oltre che l’uo­mo che ne prenderà presto il po­sto a Downing Street. Gestisce una città con 14 milioni di abi­tanti, con un Pil che vale quello dell’intera Svezia. Il 27 novem­bre scorso ha tenuto un discor­so di commemorazione di Mar­garet Thatcher. Non una cosa abituale per uno che dovrebbe fare soltanto l’amministratore di un immenso condominio, co­me si diceva in passato dei sin­daci. Ha parlato da erede della Thatcher, cosa che molti gli ri­conoscono.

Non dovrà essere prima un leader nazionale: dal­la città al Paese, non c’è biso­gno di passare dal via.

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