Montezemolo condannato a Capri

Abusi edilizi: un anno di reclusione (con pena però sospesa). Il reato? Compiuto dal direttore dei lavori e dal capo dell'impresa

Montezemolo condannato a Capri

Quando si dice la tempistica. Nel gior­no delle elezioni amministrative, dalla minuscola sezione distaccata del Tribu­nale di Capri arriva il segnale di pit-stop al presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo prossimo a scendere in politica. Condannato a un anno (pena so­spesa) per due abusi edilizi nel suo «buen retiro» isolano, Villa Caprile, e as­solto per il più grave reato di falso. Il ver­detto del giudice unico Alessandra Catal­di è arrivato nel tardo pomeriggio di ieri, poco prima della «dead line» delle 18.30, quando dalla perla del Golfo partono gli ultimi aliscafi diretti a Napoli. Pochi mi­nuti per leggere la sentenza, e giudice e pubblico ministero sono volati via lungo i tornanti a strapiombo sul mare con dire­zione porto.

Per il leader di «Italia futura», il pm Mi­lena Cortigiano aveva chiesto un anno e tre mesi nonostante l'autodemolizione dei manufatti fuorilegge decisa dallo stesso imputato. A cui è stata applicata la più classica (e controversa) delle formu­le giudiziarie: Luchino non poteva non sapere. Montezemolo sconta, probabil­mente, anche la decisione del direttore dei lavori e del titolare dell'impresa edile appaltatrice, impegnati nella ristruttura­zione della villa, di tirarsi fuori dal proces­so patteggiando alla prima udienza. Nei mesi scorsi, ai due co-imputati (Rossella Ragazzini e Francesco Di Sarno) erano stati inflitti rispettivamente dodici e die­ci mesi con pena sospesa. Con quella de­cisione i tecnici avevano, insomma, am­messo le loro responsabilità nella trasfor­mazione illegale di un rudere in una de­pendance di 22 metri quadrati e nell'alle­stimento, ricavato da un garage, di un monolocale destinato a ospitare il guar­diano della residenza estiva di Monteze­molo. La sentenza di ieri ha chiuso, però, solo la prima parte dell'indagine. C'è in­fatti un altro procedimento, un secondo troncone d'inchiesta che si sta però cele­brando sulla terraferma napoletana, e ri­guarda gli «effetti collaterali» del fascico­lo­madre sugli abusi ad Anacapri.

Rinviati a giudizio dal gip Dario Gallo, nel novembre scorso, sono oggi alla sbar­ra l'ex sindaco di Anacapri Mario Staia­no, il geometra dell'ufficio tecnico comu­nale Gennaro D'Auria (sospeso per due mesi dal lavoro, all'epoca delle indagini preliminari) e il comandante della poli­zia municipale Marco Pollio. I capi di im­putazione nei loro confronti vanno dall' omessa denuncia al favoreggiamento, al falso ideologico. Per i magistrati della procura partenopea, avrebbero cercato di mettere la museruola allo scandalo iso­lano per non dare troppo fastidio all'illu­stre ospite. Come? Rallentando voluta­mente o addirittura ostacolando i con­trolli dei caschi bianchi e cercando di in­sabbiare il tutto o in alternativa- c'è scrit­to nelle carte processuali - trovando un «modo amichevole» per non sollevare un polverone. Versione, quest'ultima, contestata dall'ex fascia tricolore Staia­no che, tirato in ballo dalla deposizione di un vigile urbano, a proposito di pre­sunte pressioni per chiudere in fretta la pratica Montezemolo, si è difeso soste­nendo di aver chiesto ai vigili discrezio­ne e silenzio soltanto nel rapporto con i giornalisti. Dagli atti d'indagine, emerge comunque che l'ex primo cittadino e gli impiegati comunali avrebbero agito di autonoma iniziativa, senza che ci fosse insomma alcuna sollecitazione da parte di Montezemolo. Che, infatti, in questo procedimento non compare.

Inizialmente, il veleno di un sospetto caso di corruzione s'era insinuato nelle primissima fase dell'inchiesta, quando era spuntata fuori una «Panda» regalata dalla Fiat al comando di polizia munici­pale di Anacapri. Sospetto subito fugato dalla circostanza, messa in luce dagli av­vocati dell'ex numero uno di Confindu­stria, che l'omaggio automobilistico alla polizia locale rientrava in una campa­gna promozionale varata dalla società to­rinese nelle località turistiche di tutt'Ita­lia. Nessun nesso, dunque, con Villa Ca­prile.

Una struttura acquistata nel 2002 dalla società «Fisvi Holding srl», di cui so­no soci Montezemolo (col 99 per cento) e Francesco Saverio Grazioli (col restan­te 1 per cento), che ne è anche presiden­te. Pure lui condannato a un anno con pe­na sospesa. Pure lui non poteva non sape­re.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica