Roma - Adesso il Professore copia. Di sicuro le proposte di Berlusconi. Ma forse anche le firme per far correre il suo candidato alla Regione Lombardia.
Pur menando come un fabbro Berlusconi, Monti continua a scimmiottarne il programma. Ieri in maniera spudorata. Adesso anche il premier ammette che «Le tasse sono troppe». Peccato che sia stato lui ad azionare soltanto la leva del fisco per tenere i conti a puntino. E infatti si giustifica subito: «Si è dovuto riassestare in pochi mesi un debito pubblico tale che all'estero non volevano titoli italiani». Non una parola sulla sua debolezza nell'affrontare il capitolo dei tagli alla spesa. Tornando al fisco, Monti ora plagia il Pdl anche sull'Irap, tassa che grava sulle aziende italiane. Presentando il suo «industrial compact», il premier promette, nei primi 100 giorni di governo «una drastica riduzione dell'Irap per le piccole e medie imprese manifatturiere nei primi 100 giorni di governo, con priorità per quelle del Sud». Ma guarda un po'. L'eliminazione progressiva dell'Irap è proprio uno dei cavalli di battaglia del Cavaliere. Cavaliere che il Professore disprezza tanto. Da sottolineare, poi, che la «montiana» riduzione dell'Irap in realtà c'è già, visto che proprio il Pdl ne aveva preteso l'inserimento nella legge di stabilità alla vigilia di Natale.
Quindi, a Porta a porta, conferma che il piano è scippare gli elettori del Cavaliere, considerato inaffidabile: «Tanti elettori moderati dovrebbero votare per noi - dice il Professore -. Ognuno sarebbe contento di ricevere l'Imu, ma con questa svendita dello Stato alla vigilia delle elezioni poi bisognerà andare a prendere un altro Professore». Lungi dal fare autocritica per aver pigiato solo sul pedale del rigore dimenticando quelli dell'equità e dello sviluppo, Monti ora si prende a cuore la «crescita». Ma ancora una volta si autoassolve: «È irragionevole chi dà l'impressione di essere sorpreso che il 2012, anno in cui l'assoluta priorità era quella di mettere a posto i conti, non sia stato un anno di espansione per l'economia reale». Cerca l'appoggio della piccola e media impresa, il Professore; e dopo aver contribuito ad affossarla ora la difende: «Occorre dare spazio alla vitalità della grande tradizione manifatturiera italiana. La crisi nasce dalla finanza ma si è trasferita alle strutture produttive».
Poi, il premier cerca di rimediare alla gaffe con la Merkel, tirata in ballo per colpire il Cavaliere. Un autogol visto che la stessa cancelliera ha smentito ufficialmente qualsiasi ingerenza nelle vicende elettorali italiane. «Ho solo voluto smentire l'affermazione di Berlusconi su un ipotetico intervento della Merkel a favore di un accordo tra me e Bersani», si giustifica. Torna a bastonare la sinistra: «la cultura presente in alcune componenti della coalizione mi fa temere che l'ideologia prevarrebbe sulla concretezza dei provvedimenti»; e battibecca con Bersani che risponde: «Ogni giorno ci trova un difettuccio». Ma l'affondo montiano è in serata: «Pd e Sel sembrano la reincarnazione del partito comunista che non ha permesso a Prodi di governare».
Ma non c'è solo il nodo alleanze a preoccupare il Professore. Ieri, da Cremona, la grana di possibili firme false a sostegno di Albertini in Lombardia.
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