Trentasette, cinquantacinque, quindici, quattro e mezzo. Tace da un mese, non fa filtrare commenti, ha lasciato a Renzi e Berlusconi la scena, ma è sempre lui ha dare i numeri giusti. Sì, è ancora Giorgio Napolitano a distribuire le carte, pure nella partita delle riforme. È lui il bersaglio che Grillo vuole colpire per far saltare tutto. Oggi infatti il M5S, che ha chiesto ai suoi iscritti di votare «l'atto più grave» compiuto dal presidente, depositerà la richiesta formale di impeachment. Il capo dello Stato non reagisce, si concentra sul negoziato.
Una mediazione riservata, giocata di sponda, però attenta e nelle ultime ore decisiva. Prendiamo il premio di maggioranza. Il Cav si era ancorato al 35 per cento, perché una soglia più alta sarebbe difficile da raggiungere. Il Quirinale, forte dei pareri dei costituzionalisti, voleva alzare l'asticella al quaranta. «Non vorrete mica rischiare un altro ricorso alla Consulta?». Argomento molto convincente, a giudicare da come è andata a finire: un 37 che sembra soddisfare tutti. Il premio di maggioranza sarà del 15%, non sarà quindi sproporzionato e chi lo otterrà non potrà avere più del 55 per cento dei seggi in Parlamento.
Un altro braccio di ferro, risolto grazie alla diplomazia del Colle, era stato ingaggiato sullo sbarramento. Angelino Alfano voleva che si scendesse al quattro per cento, perché il cinque previsto nella bozza del primo accordo «è troppo alto, ci taglia fuori». E dietro Alfano la muta dei partitini, da Scelta Civica a Sel ai nuovi popolari. Ma Berlusconi teneva il punto finché, dopo un discreto viaggetto martedì sera di Gianni Letta al Quirinale, hanno trovato l'intesa a quota 4,5 in coalizione e otto da soli.
In cambio il leader di Forza Italia ha strappato la clausola salva-Lega: le formazioni politiche che ottengono il nove per cento in almeno tre regioni rientrano comunque in Parlamento. Maroni sarà contento ma pure Alfano può sorridere, visto che su richiesta di Ncd e benedizione presidenziale sono state inserite le multicandidature.
Se al Nazareno brindano, sul Colle silenzio assoluto. Napolitano, impegnato con la visita ufficiale del presidente turco Gul, ostenta distacco dalla faccende italiane e dell'Italicum. Però s'indovina la «soddisfazione» per come stanno andando le cose. È presto per lo champagne, la riforma deve ancora partire e attraversare campi minati in Parlamento, il fuoco amico e ostacoli di ogni tipo. Però - questo, più o meno, è il ragionamento del capo dello Stato - se si riesce a cambiare la legge elettorale e ad avviare le altre riforme senza far cadere il governo, sarà stato fatto un passo avanti «enorme».
In un simile quadro l'offensiva cinque stelle non preoccupa più di tanto. Nonostante la procura di Roma abbia deciso di aprire un'inchiesta e di indagare per vilipendio il deputato Giorgio Sorial, quello che «Napolitano boia», i grillini vanno avanti. Oggi i gruppi parlamentari del movimento depositeranno la richiesta di apertura del procedimento di messa in stato d'accusa del presidente.
Il fulcro delle contestazioni dovrebbe riguardare la cancellazione delle intercettazioni delle sue telefonate con l'ex ministro Nicola Mancino, effettuate dalla Procura di Palermo nell'ambito delle indagini sulla trattativa Stato-mafia. È la voce più votata nel referendum. Le altre «colpe» indicate da Grillo sono il silenzio sulla Terra dei Fuochi quand'era al Viminale, la resa alle banche internazionali e le larghe intese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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