Niente Imu, si può

Il ministro Giarda: presto tagli su 100 miliardi di spesa. Ma allora non serve la tassa sulla casa...

Niente Imu, si può
Il ministro Piero Giarda, che da decenni si aggira con agilità senza pari nel bosco della pubbli­ca spesa, ha dichiarato che in Ita­lia l’area suscettibile di un taglio nel breve termine è di 100 miliar­di, mentre nel medio e lungo ter­mine se ne possono aggredire, con la revisione della spesa, altri 300. Sul totale di circa 900 miliardi di spese pubbli­che, dunque, ben 400, pari al 44,4%, possono essere oggetto di revisione. La parte rigida sareb­be di 500, cioè il 55,5%. Sempre usando le semplificazioni pro­prie dei grandi numeri, l’11,11% della spesa globale può essere og­getto di revisione in diminuzio­ne nel breve periodo, mentre un altro 33,33% può esserlo negli an­ni futuri. Questo è il Giarda pen­siero.

Conosco Piero Giarda da mol­tissimi anni e mi è sempre parso assai prudente nel linguaggio e poco propenso alle affermazioni non basate sui numeri. Perché in­vece che metterlo al Tesoro col compito di disboscare la spesa e col potere politico e istituzionale per farlo, sia stato posto a capo del ministero dei Rapporti con il Parlamento, è un mistero. Co­munque, immagino che l’obbie­zione che si farà, per la lettura di queste cifre, è che Giarda ha fatto riferimento a una spesa tagliabi­le, non alla quantità di tagli possi­bili. Certo, un conto è la savana della spesa, in cui si può incidere, e un altro conto ciò che si riesce a tagliare. Ma non si dimentichi che Giarda ha distinto la spesa pubblica in tre categorie, quella che non si può ridurre, il 55% del totale; quella che si può ridurre nel medio termine con azioni strutturali o, comunque, che ri­chiedono tempo, che è un altro 33,3%, e quella che è suscettibile di riduzione adesso, ossia l’11,11%.

Si deve dunque ammettere che è stata selezionata una base su cui si può incidere in modo par­ticolare. Sorge, così, spontaneo il quesito: se c’è uno spazio di que­sta dimensione per ridurre le spe­se, come mai si è giudicata indi­spensabile la tassazione della pri­ma casa, con l’Imu che, al lordo dei costi di riscossione, sembra dia al massimo un gettito di 3 mi­liardi annui? Questo onere fisca­le ha generato una pesante defla­zione dei valori immobiliari, ha ridotto i patrimoni delle famiglie erodendone il merito di credito, ha dato la sensazione che fossi­mo all’ultima spiaggia, ha diffu­so il pessimismo nella popolazio­ne e lo sconcerto nei piccoli ri­sparmiatori. E ancora, se c’era questa possibilità, come mai si è creata l’enorme complicazione consistente nel dover anticipare una rata di Imu, su una base im­ponibile che non è ancora del tut­to chiara, con aliquote che anco­ra non sono state determinate?

Una risposta che viene subito alla mente è che si voleva «umilia­re il Pdl» di Silvio Berlusconi che aveva abolito l’Ici sulla prima ca­sa, costringendolo a votare per la sua reintroduzione, in nome del rigore della finanza pubblica del governo tecnico che gli è succe­duto.

Ma c’è una spiegazione ideolo­gica che mi preme mettere in lu­ce, ossia la tesi che il risparmio per la prima casa va scoraggiato o almeno non favorito rispetto alle altre forme di risparmio, in quan­to crea, nel mercato immobilia­re, una rigidità paragonabile a quella che l’articolo 18, interpre­tato come diritto al posto fisso, crea nel mercato del lavoro. An­zi, le due rigidità andrebbero in­sieme, perché chi ha la proprietà della casa non si sposta facilmen­te per cercare un altro posto di la­voro e, d’altra parte, il posto fisso consente di ottenere dalla banca un mutuo, con cui comprare la ca­sa. Il lavoro e il risparmio, secon­do questa concezione, debbono essere fluidi. E per ottenere que­sto scopo converrebbe tassare la prima casa con una patrimonia­le. Si tratta d’una concezione sba­gliata. Il suo errore si può sintetiz­zare con la frase «non buttare l’ac­qua sporca del bagno con il bam­bino dentro».

Se vogliamo che il lavoro sia fluido, che le famiglie si impegni­no nel creare, nei figli, un capita­le umano capace di mobilità, dob­biamo dare a ciò una base di dimi­nuzione del rischio e di incre­mento di opportunità, appunto favorendo la proprietà di una ca­sa, che possibilmente sia poco tassata, sia quando è posseduta sia quando è acquistata e quan­do è ceduta a terzi: quindi che ha valore d’uso e di

scambio. Ergo,è bene che l’Imu sulla prima casa sia provvisoria e che la mobilità del mercato edilizio si attui azze­rando l’imposta di registro tra pri­vati e sostituendola con l’Iva per gli scambi tra privati e imprese.

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