Conosco Piero Giarda da moltissimi anni e mi è sempre parso assai prudente nel linguaggio e poco propenso alle affermazioni non basate sui numeri. Perché invece che metterlo al Tesoro col compito di disboscare la spesa e col potere politico e istituzionale per farlo, sia stato posto a capo del ministero dei Rapporti con il Parlamento, è un mistero. Comunque, immagino che l’obbiezione che si farà, per la lettura di queste cifre, è che Giarda ha fatto riferimento a una spesa tagliabile, non alla quantità di tagli possibili. Certo, un conto è la savana della spesa, in cui si può incidere, e un altro conto ciò che si riesce a tagliare. Ma non si dimentichi che Giarda ha distinto la spesa pubblica in tre categorie, quella che non si può ridurre, il 55% del totale; quella che si può ridurre nel medio termine con azioni strutturali o, comunque, che richiedono tempo, che è un altro 33,3%, e quella che è suscettibile di riduzione adesso, ossia l’11,11%.
Si deve dunque ammettere che è stata selezionata una base su cui si può incidere in modo particolare. Sorge, così, spontaneo il quesito: se c’è uno spazio di questa dimensione per ridurre le spese, come mai si è giudicata indispensabile la tassazione della prima casa, con l’Imu che, al lordo dei costi di riscossione, sembra dia al massimo un gettito di 3 miliardi annui? Questo onere fiscale ha generato una pesante deflazione dei valori immobiliari, ha ridotto i patrimoni delle famiglie erodendone il merito di credito, ha dato la sensazione che fossimo all’ultima spiaggia, ha diffuso il pessimismo nella popolazione e lo sconcerto nei piccoli risparmiatori. E ancora, se c’era questa possibilità, come mai si è creata l’enorme complicazione consistente nel dover anticipare una rata di Imu, su una base imponibile che non è ancora del tutto chiara, con aliquote che ancora non sono state determinate?
Una risposta che viene subito alla mente è che si voleva «umiliare il Pdl» di Silvio Berlusconi che aveva abolito l’Ici sulla prima casa, costringendolo a votare per la sua reintroduzione, in nome del rigore della finanza pubblica del governo tecnico che gli è succeduto.
Ma c’è una spiegazione ideologica che mi preme mettere in luce, ossia la tesi che il risparmio per la prima casa va scoraggiato o almeno non favorito rispetto alle altre forme di risparmio, in quanto crea, nel mercato immobiliare, una rigidità paragonabile a quella che l’articolo 18, interpretato come diritto al posto fisso, crea nel mercato del lavoro. Anzi, le due rigidità andrebbero insieme, perché chi ha la proprietà della casa non si sposta facilmente per cercare un altro posto di lavoro e, d’altra parte, il posto fisso consente di ottenere dalla banca un mutuo, con cui comprare la casa. Il lavoro e il risparmio, secondo questa concezione, debbono essere fluidi. E per ottenere questo scopo converrebbe tassare la prima casa con una patrimoniale. Si tratta d’una concezione sbagliata. Il suo errore si può sintetizzare con la frase «non buttare l’acqua sporca del bagno con il bambino dentro».
Se vogliamo che il lavoro sia fluido, che le famiglie si impegnino nel creare, nei figli, un capitale umano capace di mobilità, dobbiamo dare a ciò una base di diminuzione del rischio e di incremento di opportunità, appunto favorendo la proprietà di una casa, che possibilmente sia poco tassata, sia quando è posseduta sia quando è acquistata e quando è ceduta a terzi: quindi che ha valore d’uso e di
scambio. Ergo,è bene che l’Imu sulla prima casa sia provvisoria e che la mobilità del mercato edilizio si attui azzerando l’imposta di registro tra privati e sostituendola con l’Iva per gli scambi tra privati e imprese.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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