NOI E GLI ANIMALI

NOI E GLI ANIMALI

Hanno studiato, poi si sono guardati indietro. La terra, il lavoro dei campi, la natura. E hanno puntato tutto sul prodotto made in Itlay. Oltre mille e cinquecento giovani sono tornati a fare i pastori, i contadini. E lo fanno a modo loro, distanziandosi dai padri. Non è più necessità ma scelta convinta. E ci sono passione e sacrifici. Oltre tremila i giovani under 35 che hanno scelto di mettersi alla guida di un gregge, in gran parte per dare continuità all’attività dei genitori ma ci sono anche ingressi ex novo. E non solo, quando a guidare il gregge sono i più giovani si assiste ad un impulso nell’attività: il 78% dei giovani investe - anche nella crisi - sul miglioramento dei prodotti aziendali. La diffusa capacità di innovazione si concentra sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto ma anche nella capacità di presidiare il mercato attraverso nuove formule commerciali come la vendita diretta. E così la loro diventa una scelta vincente, un antidoto per battere la crisi. C’è Davide Bortoluzzi, giovanissimo, di 25 anni, che ha realizzato il suo sogno diventando pastore, Carla che ha 45 anni e alleva caprette o Marta Zampieri che dalle capre ricava pregiatissima lana cachemere.
È la riscoperta della terra, dei lavori che si credevano abbandonati, dimenticati per sempre. Davanti all’idea del precariato, di una scrivania a tempo determinato, di call center a vita, molti giovani hanno scelto di fare i contadini. La terra diventa così una garanzia. Rende. Basta saper investire. Puntare sulla qualità prima di tutto, sui prodotti di nicchia, le cose buone, insomma. E così i giovani pastori strappano pezzi di terra alla montagna per coltivare erbe officinali, installare alveari, si calcola che solo nel Nordest ci siano almeno 53mila pecore e 5mila capre. Ci sono giovani che hanno scelto di coltivare l’orzo per fare la birra a chilometro zero, o ancora chi ha puntato sui piccoli frutti di bosco per fare succhi di frutta, o ancora la coltivazione di piante officinali per le erboristerie. «Bisogna aver passione, spiegano, lavorare duro». «Girare per giorni, settimane, mesi con le pecore, dicono i pastori. Non è una vita facile, non conosciamo i giorni di festa. A Natale o la domenica le capre hanno bisogno di essere munte, di essere portate al pascolo. La vita dell’allevatore è impegnativa, ma sa anche dare grandissimi ma ci da grandi soddisfazioni».
La Coldiretti sta pensando di fare accordi per rilanciare i piccoli borghi montani. È la resurrezione dei villaggi quasi abbandonati e delle piccole comunità. In provincia di Frosinone, a Picinisco, c’è Loreto Pacitti, pastore da tre generazioni, che ha creato un culto letterario legato ai suoi formaggi. «Tutto è iniziato quando nel 1919 il grande scrittore inglese D. H. Lawrence venne qui, nelle nostre terre. Io ho ristrutturato la casa, creato un museo. Ora si può visitare, assaggiare i nostri prodotti di nicchia, come il Pecorino di Picinisco, le cui origini risalgono ai Sanniti, e ora è nell’Elenco Nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali. Rispolveriamo prodotti antichi, li facciamo rivivere, li mettiamo in relazione alla storia, alla cultura. È questa la vera scoperta. Ma non solo, ora i nostri prodotti tipici si trovano anche in Scozia. Esportati dai nostri stessi immigrati che nel frattempo hanno aperto ristoranti. È così che noi possiamo crescere, il nostro made in Italy è proprio questo: creare cultura del bello e del buono». Le pecore sono una garanzia.

Lo sanno bene anche a Nuragus, in Sardegna, che per la festa di Sant’Elia, patrono dei pastori, gli organizzatori non sapevano come pagare la band. Al posto dei soldi quattro agnelli e un ariete per il gruppo di musicisti. Affare fatto.

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