È scattata la fase tre dell’invasione islamica dell’Europa finalizzata a saldare le loro roccaforti radicate dentro casa nostra con i regimi islamici che hanno conquistato il potere di fronte a casa nostra. È il messaggio fondamentale che ci giunge dalla Francia e per ora sembra averlo compreso Sarkozy, anche se il suo operato puzza di strumentalizzazione elettorale, avendo lui stesso sia legittimato i Fratelli musulmani francesi quando era ministro dell’Interno nel 2003 sia favorito recentemente l’ascesa dei regimi islamici nell’Africa del Nord.
Proprio la realtà della Francia deve indurci a prendere atto rapidamente della trappola tesa alla nostra civiltà e spronarci a reagire con determinazione per salvare i nostri valori non negoziabili alla vita, alla dignità e alla libertà. Dopo aver costituito roccaforti nella fitta rete di moschee, scuole coraniche, enti assistenziali e finanziari islamici, persino di tribunali sharaitici, gli islamici autoctoni, che hanno la nostra stessa cittadinanza anche se s’identificano nella Ummah, la Nazione globalizzata dei fedeli di Allah, mirano a stringerci d’assedio instaurando un rapporto solido, organico e strategico con gli islamici che hanno ormai conquistato il potere sulle altre due sponde del Mediterraneo.
Il governo Sarkozy, che dopo la strage di tre parà francesi di origine marocchina e di fede musulmana in aggiunta ai quattro francesi ebrei, ha proceduto sia all’arresto di una ventina di militanti attivi nella rete del terrorismo sia alla messa al bando di sei predicatori affiliati ai Fratelli musulmani, ci conferma che l’atto terroristico è solo la punta dell’iceberg, la fase terminale di un processo che parte dalla predicazione d’odio e culmina nell’attentato. Il messaggio implicito e operativo è che per combattere il terrorismo islamico dobbiamo sia bonificare le moschee dalla predicazione della violenza sia prendere atto che ormai si tratta di una guerra interna all’Occidente perché il nemico è autoctono, ma che potrebbe presto trasformarsi in una trappola mortale nel momento in cui si realizza la saldatura con il nemico esterno.
Chiariamo che Mohammed Merah, di 24 anni, era cittadino francese. Ebbene, che ci sia un nesso tra la strage dei tre parà e dei quattro ebrei, con il retroterra ideologico in cui Merah è cresciuto è un fatto che viene condiviso sia dal governo francese sia dai Fratelli musulmani che in Francia operano sotto la sigla Uoif (Unione delle organizzazioni islamiche di Francia). Sennonché mentre i Fratelli Musulmani escludono un rapporto tra Merah e l’islam e addebitano il suo comportamento alla marginalizzazione sociale, il governo francese ha fatto concretamente intendere che dietro alle stragi c’è sia una rete del terrorismo islamico autoctona sia la predicazione d’odio anche da parte di autorità religiose straniere che praticano il lavaggio del cervello ai musulmani residenti in Europa.
Che dietro alle stragi ci sia il fallimento di un modello di convivenza che in Francia denominano assimilazionismo, ma che di fatto è la stessa realtà del multiculturalismo traducendosi nella ghettizzazione urbana in quartieri dove i residenti fanno riferimento alla stessa etnia, cultura o religione, è un dato di fatto. Basti pensare al fatto che sia il giovane rabbino e i suoi due bambini, uccisi nella strage alla scuola ebraica di Tolosa lo scorso 19 marzo, sono stati sepolti in Israele, sia il giovane parà Imad Ibn Ziaten, assassinato anche lui a Tolosa l’11 marzo, è stato sepolto in Marocco avvolto nella bandiera nazionale marocchina. Si tocca con mano la crisi d’identità di cittadini francesi che condividono contemporaneamente una seconda identità. Paradossalmente Merah, ucciso dalle forze speciali francesi, è stato invece sepolto nel cimitero di Tolosa per il rifiuto delle autorità algerine di accogliere le sue spoglie.
Tariq Ramadan, pur condannando le stragi e sottolineando che le vittime sono state sia musulmane sia ebraiche, ha così giustificato l’operato di Merah: «Era un povero ragazzo, colpevole e da condannare senza ombra di dubbio, anche se egli stesso fu vittima di un ordine sociale che lo aveva già condannato, come milioni di altri individui, all’emarginazione». Questa tesi è stata percepita come giustificazionista da parte del governo francese, al punto da indurre sia il ministro degli Esteri Alain Juppé sia il ministro dell’Interno Claude Guéant a emettere un comunicato congiunto in cui si sono sia rammaricati per la partecipazione di Ramadan al 29º congresso annuale dei Musulmani di Francia che si terrà a Parigi dal 6 al 9 aprile, sia a vietare la partecipazione di alti dignitari islamici, tra cui spicca Yusuf Al-Qaradawi che presiede l’Unione mondiale degli ulema (giureconsulti islamici) e il Consiglio europeo per la fatwa (responsi legali vincolanti per i fedeli musulmani) e la ricerca. Il 29 marzo una delegazione dell’Uoif ha incontrato il ministro dell’Interno Guéant per manifestare la propria condanna per la messa al bando di Al-Qaradawi e di altri cinque dignitari islamici.
La posta in gioco è il diritto alla vita, alla dignità e alla libertà di tutti noi, italiani, europei, israeliani, donne, cristiani, ebrei, laici, atei o di altre fedi o ideologie. Oggi noi possiamo dire tutto e di più, anche condannare la nostra civiltà, ma solo perché questa nostra civiltà sopravvive e ce lo consente.
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