Lei è una padrona storica di mici. Cosa le piace di loro?
«Il gatto è come un amante, il cane è un parente. Va corteggiato, conquistato, è ricettivo e ti dà esattamente quello che gli dai tu. Ma non ama la solitudine come sembra. Ed è la massima espressione della bellezza: affascinante e aggressivo come un leone, una pantera, un giaguaro: ma piccolo, armonico, mai pericoloso».
Qual è la regola numero uno con Micio?
«Io parlo tanto coi miei animali: forse a volte sembro una vecchietta pazza. La regola è rispettarli. Assecondare la loro socievolezza, la loro timidezza, non forzarli. Se un animale si copre o lo si porta con sé, lo si deve fare per il suo bene: non va trattato come un albero da addobbare».
Che abitudini alimentari ha imposto ai suoi mici? Mai viziati col cibo o con altri piccoli premi?
«Sono sempre stata molto attenta. Quando ancora ero a scuola, facevo colazione col mio gatto di allora; e lui saliva sul tavolo e mangiava i miei biscottini, ma era più una coccola personale. Gli animali si premiano dialogandoci. A scuola rientravo a orari molto precisi: mia madre mi raccontava che, all'una meno dieci, il mio micio era sul mobile davanti alla porta che mi aspettava».
Dunque non è vero che il gatto è ineducabile.
«Il gatto ha una incredibile sensibilità. Quando ero triste, mi è successo moltissime volte di trovarmi il gatto di fianco che capiva e veniva a farmi le fusa. Io trovo che le fusa di un micio siano il suono più bello del mondo. Per non parlare degli sguardi, che praticamente parlano, di come il loro corpo di flette sotto le carezze. O dei dispetti che sono in grado di fare se si sentono abbandonati».
E sterilizzati, come
«Ne ho avuti cinque, ripeto, che tra loro si sono accoppiati. A un certo punto ho fatto castrare i maschi solo per evitare loro una sofferenza nel contatto con la femminuccia!».
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