Politica

Il Pd adesso rialza la testa e prepara la trappola a Letta

Con il successo ai ballottaggi tornano allo scoperto i falchi democratici. Epifani fa da pompiere, ma nel partito c'è chi pensa già alle Politiche

Il segretario del Partito Democratico, Guglielmo Epifani
Il segretario del Partito Democratico, Guglielmo Epifani

Il timore di contraccolpi per il governo c'è, eccome, e lo rivela l'estrema prudenza con cui Guglielmo Epifani celebra l'en plein del Pd. Attentissimo ad evitare trionfalismi e a non umiliare l'alleato (ossia il Pdl) sconfitto: «Abbiamo vinto ovunque, ma dobbiamo restare con i piedi per terra: c'è ancora tanto da fare, e l'astensionismo è molto preoccupante». Certo, il trend positivo per il Pd costituisce «quasi una rivincita rispetto alle Politiche» e «dà una spinta in più al nostro ruolo nel paese», ma se gli si chiede un commento alla débâcle Pdl, il segretario democrat si limita a dire: «Mi permetto un solo suggerimento, dovrebbe pensare di più al proprio radicamento sul territorio». Minimalista, quasi simpatetico.

Un po' è l'innata cortesia che caratterizza il tratto di Epifani, ma un bel po' è la preoccupazione per quel che potrà avvenire ora. Enrico Letta, da Palazzo Chigi, si affretta a dire che «il risultato delle amministrative, visto nel suo complesso, rafforza lo schema del governo di larghe intese». Ma ascolta con allarme le voci che, dal Pdl, mettono invece sotto accusa proprio l'alleanza con la sinistra: «Sembrava che le larghe intese dovessero punire il Pd, invece penalizzano noi», dice da Brescia lo sconfitto Paroli, e a lui fa eco il primo rumoreggiare dei falchi Pdl. D'altra parte, anche nel Pd fanno capolino quelli che, come Rosy Bindi, iniziano a dire che «questo successo deve servire ad incidere sul governo».

Insomma, il pressing sull'esecutivo è iniziato, e Nichi Vendola attacca il premier: «Caro Enrico, per te questo voto rafforza le larghe intese? Non scherziamo, stai guardando un altro film. Oggi vince il centrosinistra alternativo alla destra». D'altra parte, ammette un dirigente democrat vicino a Renzi, «l'esito dei ballottaggi è destabilizzante per il governo: mette in difficoltà Alfano e premia troppo una forza che vince nonostante non faccia nulla per riuscirci». E fa notare: «Se si vanno a contare i voti assoluti, non siamo certo cresciuti: a Roma Marino ha vinto con 12mila voti in meno di quelli con cui Rutelli perse nel 2008». Conclusione: «Vedo avvicinarsi le elezioni politiche, difficilmente si andrà oltre la primavera». Una previsione interessata, in parte, ma non infondata.
Renzi può vantare un ruolo non indifferente, nella vittoria: non solo perché dimostra quel che il sindaco ripete da mesi («La nuova classe dirigente del Pd è quella che amministra i territori» e non il vecchio apparato romano), ma anche perché alcuni dei successi più inaspettati, da Vicenza a Siena a Treviso, i suoi candidati hanno stravinto e in tutte le zone storicamente difficili per il centrosinistra, gli aspiranti sindaci hanno voluto solo lui a fianco in campagna elettorale. Ma anche i tanti avversari interni del sindaco ora rialzano la testa.

A cominciare da Bersani, che non si trattiene: «Una vittoria strepitosa. Aspetto naturalmente che qualcuno dica che il Pd ha perso o che si è vinto nonostante il Pd». Dietro le quinte, la guerriglia sulle regole per il congresso è già iniziata, e non a caso Epifani ha affidato la guida dell'organizzazione al bersaniano Zoggia, che ieri ha già iniziato a parlare di un fantomatico «albo degli elettori» per partecipare alle primarie. Ovvia l'intenzione: restringere la platea, rendere più controllabile dall'apparato il risultato, evitare che Renzi possa fare man bassa nel voto di opinione e prendersi il partito. E da Roma fa capolino un potenziale antagonista di Renzi, quello su cui punta il regista della vittoria in Campidoglio Goffredo Bettini.

Nicola Zingaretti annuncia: «D'ora in poi parteciperò di più alla vita nazionale del Pd».

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