Il Pd all'ultima spiaggia corteggia i grillini col conflitto d'interessi

Il centrosinistra alimenta le voci di fratture nel M5S e appoggi montiani ma per il governo strada in salita. Il nodo capigruppo

Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani
Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani

Lo «stretto viottolo» che dovrebbe portare al varo del governo Bersani resta alquanto impervio. Il Pd continua ad alimentare le voci di possibili smottamenti grillini, inciuci leghisti e appoggi montiani, ma per ora i numeri continuano a latitare.
Anzi, al Nazareno sanno bene che, dopo lo psicodramma sui franchi tiratori nell'elezione di Grasso al Senato, i parlamentari di 5 Stelle arriveranno ancora più blindati alla prova della fiducia. Quanto a Scelta Civica, il gruppo montiano è frastornato e diviso, tanto da non essere riuscito a eleggere i capigruppo, e comunque i suoi numeri al Senato non bastano a fare una maggioranza. Per ora, dice Linda Lanzillotta, il gruppo del Professore continua a «lavorare per le larghe intese», anche con il Pdl, a cominciare dalla partita del Quirinale.
E la Lega? «Quando ho sentito le parole al miele di Calderoli su Bersani - racconta un parlamentare Pd che conosce bene l'ex ministro leghista - mi son venuti i sudori freddi all'idea che qualcuno, nel mio partito, ci cadesse». E rievoca un episodio che la dice lunga sull'abilità di disseminatore di trappole di Calderoli: «Durante il governo Prodi, quando l'Unione rischiava di andare in pezzi sul sì alla base Usa di Vicenza, fu lui a presentare un ordine del giorno per approvare la relazione al Senato del ministro della Difesa Parisi. Noi eravamo tutti d'accordo di non votare nulla per non spaccarci, e ci toccò far uscire Parisi dal retro e chiamare il suo sottosegretario Intini a dare parere negativo sul documento Calderoli, e quindi sulla relazione. Insomma, riuscì a metterci in mutande. Spero che non gli si dia un'altra occasione...».
In questo clima incerto, alla vigilia delle consultazioni, Bersani prosegue la sua strategia di comunicazione volta a ritagliarsi un'immagine decisionista e innovativa da uomo di governo, che lisci il pelo al movimentismo grillesco. Dopo il repentino dietrofront sul finanziamento pubblico, ieri è arrivato il tonante annuncio sul conflitto di interessi, con una proposta del segretario Pd messa online calda calda. Renzi plaude all'operazione presidenze: «Quando invece di inseguire Grillo si fanno proposte credibili si vince». Ma «purtroppo», aggiunge, «questo non significa che ci siano i numeri» per il governo.
Intanto Bersani si trova da pelare la gatta dei capigruppo. La sua idea era di chiedere oggi all'assemblea dei parlamentari il congelamento per almeno un mese degli uscenti, Finocchiaro e Franceschini, in modo che la partita delle consultazioni sia gestita da mani esperte. Ma i Giovani turchi sono sulle barricate: «Non possiamo far parlare in aula e al Paese gli stessi della legislatura scorsa. Bisogna continuare sulla via del cambiamento», dice Matteo Orfini. E Franceschini ha già fatto sapere che davanti a resistenze e dubbi sul suo nome non ha alcuna intenzione di farsi crocefiggere un'altra volta: si tirerà indietro.

Ma se si aprisse la conta interna, il Pd rischia di dividersi in mille fazioni: già i boatos di susseguono, c'è chi spiega che nella ripartizione interna il capogruppo alla Camera deve andare a un ex Margherita e quindi non potrà essere il «turco» Andrea Orlando; chi dice che i due candidati del segretario, Letta alla Camera e Migliavacca al Senato, sono out, il primo perché «preferisce restare al partito», il secondo perché «nessuno lo voterebbe». E chi sussurra che potrebbe saldarsi un'alleanza tra renziani e «turchi» sul nome del giovane Matteo Richetti, già presidente dell'assemblea regionale emiliana.

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