Oggi all'imbrunire Guglielmo Epifani sale al Colle. Non sarà una formale resa d'omaggio a re Giorgio, non una prematura «chiamata a rapporto». Eppure non sfugge la più o meno silente moral suasion svolta nelle ore più convulse della paralisi pidina, quando i veti sembravano rendere il partito incapace persino di far emergere un nome di garanzia.
In realtà non sarebbe bastato un nome qualunque a rassicurare Napolitano, ormai involontario commissario prefettizio del partito più sbandato della compagnia di Palazzo Chigi. Fondamentale una figura di pacificazione, ma soprattutto in grado di prendere in mano saldamente la guida del Pd. Un timoniere che provi a riorganizzare la ciurma dalle fondamenta, sappia riannodare i legami con il mondo del lavoro, dare stabilità alla navicella governativa. Questa la missione assegnata all'ex leader Cgil: «Ti sei preso una bella gatta da pelare», come ha scherzato già ieri l'altro Napolitano complimentandosi per telefono.
All'ora che volge il disio ai navicanti, dunque, il segretario comincerà davvero il suo lavoro. Che è quello di trait-d'-union tra le necessità imposte dalla crisi e assunte dal capo dello Stato, che altrimenti non si sarebbe prestato alla rielezione, il periglioso cammino di Letta e i marosi nei quali versa il Pd. Cui Epifani deve prestare le prime cure d'emergenza, attaccando ancora Berlusconi, «che mette micce accese sotto il governo». Il suo compito è talmente gravoso da esaurirsi certo nei tre mesi di fase pre congressuale. «Per tre mesi non c'è bisogno che si rivolgano a me», aveva detto a chi gli proponeva con leggerezza un ruolo da «traghettatore». Questo il vero motivo che ne farà il candidato da battere al congresso d'ottobre. Il candidato forte e non il curatore di una «fase ospedaliera» in cerca di «avventure senili» (copyright Michele Emiliano). «Non si possono togliere i diritti politici a nessuno», era stato l'understatement di Franceschini e Sereni a quanti, nella riunione di corrente, volevano rassicurazioni sulla durata di Epifani. Ma la sua solidità è piuttosto legata a quella del governo e del centro doroteo che sostiene l'uno e l'altro.
Certo, tutto può mutare nel breve volgere dell'estate. Scenario che è appunto quello visto dal Colle con la massima apprensione, perché corrisponderebbe al precipitare della situazione economica che travolgerebbe Letta junior. In questo caso, non ci sono dubbi che gran parte del Pd, anche quanti all'Assemblea sono rimasti freddi, guarderebbero a Renzi. Il sindaco di Firenze lo sa. Tanto da essere apparso a una vecchia lenza come Fioroni come uno che «sta cercando di capire se c'è ancora una partita da giocare nel partito». O puntare altrove, lista Renzi o bis a Palazzo Vecchio. Il problema, però, è che Matteo ha meno di un mese per decidere se candidarsi al congresso. Lui aspetta di vedere, se non i cento giorni, almeno il primo mese di luna di miele. Casomai volgesse in fiele.
C'è infine lo scenario meno probabile, perché poi è sempre meglio aspettarsi il peggio che il meglio. Poggia su un'accettabile solidità di governo, che aiuterebbe anche Epifani a far digerire le larghe intese e a rimettere in piedi il partito. Superato lo scoglio d'autunno, Letta potrebbe contare su un'armistizio capace di condurlo, grazie anche al semestre di guida italiana alla Ue, fino a gennaio 2015. Intercetterebbe la ripresina e, a quel punto, paradossalmente la nave del governo e del partito potrebbero anche sdoppiarsi. In ogni caso, sarebbe la fortuna di Letta il giovane a influire sul destino dell'attempato Epifani. Che farà bene a guardarsi dalle rancorose cariatidi, ma ancor di più dai rampanti giovanotti trentenni ormai in maggioranza alla Camera.
Quella generazionale, in fondo, è la frattura più grave, visto anche che il grosso dei voti al Pd viene dai pensionati. C'è una logica interna, forse giusta, nel fatto che a guidarlo ora sia stato chiamato l'ex leader del sindacato con il maggior numero d'iscritti della terza età.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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