Raccontano che Enrico Letta, noto per non perdere mai la calma, in queste ore sia più infuriato con il proprio partito che con l'intero Pdl, falchi e pitonesse inclusi. Le improvvide uscite dei pasdaran bersaniani guidati da Davide Zoggia, e le liquidatorie battute di Massimo D'Alema (che le ha smentite, ma ieri ha ripetuto pari pari i concetti in un'intervista al Tg1) hanno non solo dimostrato che un pezzo di Pd tifa per una crisi a breve del suo governo, ma hanno anche finito per tirarlo su un terreno dal cui voleva tenersi ben lontano, quello della rissa interna su congresso, primarie, prossimo segretario del Pd. E sul suo futuro politico. Il premier non esclude affatto di ricandidarsi, ma pensa che le sue chance potrebbero rafforzarsi se il governo andasse avanti, portasse a casa dei risultati, se toccasse a lui gestire il semestre Ue e cogliere i frutti di un'eventuale ripresina. E se, nel frattempo, Renzi restasse a bordo campo a logorarsi.
Ma il Pdl alza i toni, e dal Pd si replica con durezza: sulla decadenza di Berlusconi «non possiamo arretrare di un millimetro», dice Gianni Cuperlo. «Siamo irremovibili», tuona Andrea Martella. Il futuro è sempre più incerto. E D'Alema ieri ha nuovamente liquidato un bis: Letta - ha spiegato - «ha legato il suo impegno» ad un governo «chiaramente transitorio» col Pdl. Certo, una crisi di governo ora «sarebbe un danno per il paese», ma se si andasse ad elezioni «il candidato più probabile sarebbe Renzi». Evita di parlare di segreteria Pd, D'Alema, ma il suo pensiero è noto: Renzi deve fare il candidato premier - modello Prodi - perché prende i voti, ma «la ditta» deve guidarla un ex Ds come Cuperlo.
Peccato che gli ex Ds siano spaccati e tra dalemiani e bersaniani (che non voteranno mai Cuperlo e vorrebbero congelare Epifani) regni ormai l'odio: i primi pensano che l'ex segretario sia la causa di tutti i mali del Pd; i secondi hanno come unico programma quello di impedire al sindaco di Firenze di fare qualsiasi cosa, anche aprire un bar, mentre gli atterriti ex Ppi stanno a guardare. «Leggere il Pd nelle cronache di questi giorni è terribile», geme Peppe Fioroni su Twitter. E non ha tutti i torti, anche se il fenomeno è talmente frequente che dovrebbe averci fatto il callo.
Renzi, appena rientrato dalla sua vacanza californiana, si prepara ad un intenso tour delle feste Pd, dal 30 agosto in poi. E questo lascia già intendere i suoi piani: non ci pensa neppure a lasciare il Pd a D'Alema, Bersani o Franceschini. È già in campagna elettorale, per la segreteria del Pd. E poi, da lì, darà la scalata alla premiership, senza sponsor ingombranti. «Noi stavolta non ci stiamo, a fare la parte di Prodi», spiega il renziano Andrea Marcucci. «A D'Alema diciamo no, grazie: non è lui che dà le carte», dice Angelo Rughetti a Il Fatto. «Ora c'è il congresso e Renzi alla segreteria è un passaggio ordinario. Poi ci saranno le primarie, e se lui sarà segretario sarà il candidato, o uno dei candidati». Con tanti saluti ai bersaniani: «Per molti colleghi è più accettabile perdere le elezioni che perdere un congresso». Quanto a Enrico Letta, «un presidente del Consiglio che si è sacrificato per fare un governo con Berlusconi difficilmente può essere quello che poi contende al centrodestra la guida del paese». Ma resta di certo «una riserva della Repubblica», «in Italia e in Europa».
Commissione Ue, incarichi prestigiosi, persino un giorno il Quirinale: nulla è escluso per l'attuale premier. Se poi tutto precipitasse, Renzi è pronto per le primarie. «Dei tanti problemi che ha il Pd, non ha quello di trovare un candidato premier: c'è già», dice il renziano Matteo Richetti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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