Roma - Un lungo giro di telefonate sull’asse Roma-Mosca e diverse riunioni a via dell’Umiltà dove si va avanti a discutere fino a tarda sera su quale sarà la linea da tenere nei confronti del governo Monti di qui ai prossimi mesi. Un Pdl «in cerca d’autore», perché il risultato era sì nell’aria ma nessuno si aspettava certi tonfi. Una «sconfitta» evidente, tanto che è lo stesso Alfano a pronunciare la parola in questione a favore di telecamere. Una «sconfitta» ma non «una condizione catastrofica» come «quella che si vuol far apparire», precisa il segretario.
A microfoni spenti e durante il lungo confronto a porte chiuse tra i dirigenti di via dell’Umiltà, però, il clima è di tutt’altro genere. Il risultato della prima tornata elettorale «no-Cav» - non solo la scritta Berlusconi non era nel simbolo e non ha fatto campagna elettorale, ma ha anche deciso di seguire il voto amministrativo da Mosca dove ha presenziato all’insediamento di Putin al Cremlino - è infatti decisamente sotto le aspettative. Al punto che per la prima volta da quando Monti è al governo si è formalmente aperto un dibattito interno sulla linea da tenere nei confronti del governo. Insomma, quello che fino a qualche mese fa era argomento di polemica tra ex An (da sempre scettici) ed ex Forza Italia, da ieri è ufficialmente un tema all’ordine del giorno. E sul quale il Pdl dovrà presto prendere una decisione, visto che ormai anche molti che fino a poco fa facevano parte delle colombe sono passati su posizioni decisamente più rigide. E ieri, a via dell’Umiltà, si è iniziato a delineare il confronto-scontro dei prossimi giorni. C’è chi teorizza una decisa «presa di distanza» da Monti (come Matteoli, Crosetto, Verdini), chi resta invece sulla linea del «sostegno responsabile» (come Frattini e Quagliariello). Ma il discorso è più complesso, perché soprattutto sulle misure economiche il malumore è fortissimo. E ieri non solo Crosetto, ma anche Brunetta e Martino insistevano affinché il Pdl prendesse da subito una posizione fortemente critica sul fiscal compact. Difficilmente, insomma, nei prossimi giorni il sostegno a Monti non sarà argomento di un serio dibattito interno. D’altra parte, non è un mistero che tre elettori del Pdl su quattro (il 70,8% secondo i sondaggi della Ghisleri) non gradiscano il Professore e il suo governo e che il partito di Alfano abbia per questo pagato dazio.
Ecco perché c’è chi chiede una decisa presa di distanza, un «chiamarsi fuori dalla maggioranza» per usare le parole della Santanché. Con l’esecutivo che finirebbe per doversi cercare i voti in Parlamento di volta in volta. Una questione che dovrà essere affrontata seriamente se pure insospettabili colombe oggi auspicano il voto anticipato. «L’unico modo per evitare che il Pdl imploda», spiegano non senza una certa preoccupazione.
Alfano ieri s’è limitato a dire «basta» ai vertici di maggioranza perché «portano pochi frutti». Ed è un piccolo segnale nonostante si sia ben guardato dal mettere in discussione l’appoggio a Monti. Al massimo, insomma, si arriva a dire - vedi Cicchitto o La Russa - che «non possiamo dire sì a provvedimenti che non condividiamo». Anche perché già si addita il Pdl (vedi Pisapia) di voler «far cadere il governo» e «andare al voto ad ottobre». In realtà, Monti non ha solo il problema del Pdl, visto che la situazione è complicata anche per il Pd e per l’esecutivo stesso che ha visto avanzare tutti i partiti anti-Monti.
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