Piazza Affari giù Oggi tocca ai Btp a 10 anni

Milano L’illusione è durata lo spazio di un mattino. Giusto il tempo di riassaporare finalmente il gusto non acido di un’asta dei nostri bond, con i 9 miliardi di Bot a sei mesi collocati dal Tesoro senza sforzo alcuno. E, soprattutto, senza stress sui rendimenti, crollati al 3,251% dal 6,504% da cardiotonico del novembre scorso. Un sospiro di sollievo doppio, grazie anche all’esito benigno dell’offerta di Ctz a due anni per poco più di 1,7 miliardi che ha visto i tassi collassare dal 7,814 al 4,853%. Insomma: il mondo rovesciato dalla crisi del debito che ritrova il suo vecchio asse. Normale. Quasi rassicurante. Al punto che il premier Mario Monti non nasconde la propria soddisfazione. Sembra un bella giornata. Perché perfino la giostra fuori controllo degli spread gira meno all’impazzata. A un certo punto, il differenziale tra i Btp e i Bund si ritrae fino a 482 punti. È il primo cedimento da venerdì scorso.
Poi, però, il vento cambia. Già nel primo pomeriggio, il premio di rischio pagato dall’Italia ha già scavalcato di nuovo l’asticella dei 500 punti. Diventeranno 510 alla chiusura, terzo giorno di fila in cui lo spread non si schioda dalla soglia di pericolo. Quella che ha come sgradevole effetto collaterale l’aggancio dei rendimenti sui titoli decennali alla «linea della morte» del 7%: nella storia recente, percentuale da bandiera bianca per Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo, costrette a chiedere aiuti a Unione europea, Bce e Fmi. Con tassi così in tensione, l’emissione di oggi (ben più probante) di Btp a tre, sette e dieci anni fino a 8,5 miliardi potrebbe quindi presentare qualche insidia. Se così fosse, certo non sarebbe un buon viatico per il 2012, quando Via XX Settembre busserà con forza alla porta degli investitori con richieste pari a 450 miliardi.
L’incertezza, dunque, rimane. Come un ingrediente che s’infila in ogni piatto, guastandolo. Le Borse, smaltito in fretta l’effetto benefico delle, alla fine hanno infatti deciso di battere in ritirata: Milano ha lasciato sul campo lo 0,85%, ma peggio si sono comportate Francoforte e Madrid (in calo del 2%) e anche Parigi (-1%). I motivi del cambio di umore dei mercati? Uno su tutti: i depositi overnight, quelli cioè temporaneamente parcheggiati dalle banche presso la Bce, hanno raggiunto un nuovo picco di 452 miliardi di euro, battendo il precedente record di 411,8 miliardi stabilito martedì. Ancora una volta, si tratta di un segnale da codice rosso, in quanto testimonia l’elevata sfiducia reciproca tra gli istituti di credito che preferiscono piazzare fondi per 24 ore nelle casse di Francoforte piuttosto che prestarseli a vicenda. Il tasso dello 0,25% che si ottiene depositando denaro presso la Bce è infatti notevolmente inferiore a quello che si otterrebbe sul mercato interbancario. In questo modo, però, viene vanificato lo sforzo fatto dall’istituto guidato da Mario Draghi, che la scorsa settimana ha concesso prestiti a tre anni alle banche europee per 489 miliardi di euro a tassi super-agevolati, con l’intenzione di canalizzare liquidità verso le famiglie e le imprese. Un’operazione a favore della crescita economica.
Crescita che l’Italia non vedrà nel 2012. Anche gli economisti di Intesa Sanpaolo parlano ora apertamente di recessione. L’anno prossimo il Pil subirà una contrazione dell’1% (lo stop è meno grave rispetto all’1,6% stimato da Confindustria), e solo nel terzo trimestre il Paese tornerà sopra la linea di galleggiamento (+0,1 per cento). Un aggravamento del ciclo economico imputabile anche «alle lacune nei meccanismi di governance europea e alla deludente gestione della crisi del debito sovrano». Eurolandia conoscerà infatti l’anno prossimo la stagnazione dopo essere cresciuta nel 2011 dell’1,6%, mentre l’espansione globale sarà del 2,9%.

Promossa, ma non completamente, la manovra del governo Monti: «Il pacchetto fiscale non scioglie ancora tutti i nodi dell’economia italiana e presenta dei punti di criticità, ma rappresenta un passo necessario per rassicurare i mercati». Secondo Intesa Sanpaolo, servono una revisione della spesa pubblica e riforme strutturali, a cominciare da quella del mercato del lavoro.

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