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Pier Luigi continua a flirtare È convinto di un «sì» del M5S

RomaIl nastro si è riavvolto all'improvviso, e - due settimane dopo le elezioni - sembra di stare di nuovo nel pieno della campagna per le primarie del Pd. Con gli stessi protagonisti: da un lato il capo della ditta - ora precocemente ammaccato dalla batosta elettorale; dall'altro il giovane sfidante che quella ditta vuol rivoltarla come un calzino.
Lo scontro tra Bersani e Renzi è riesploso, sullo sfondo di una legislatura assai precaria e dagli scenari ancora fumosi. Il sindaco di Firenze muove all'attacco sul finanziamento pubblico, sui costi dell'apparato, sull'inseguimento dei voti grillini per mettere su un governo: se nell'autunno scorso Renzi aveva giocato con l'handicap di un partito che gli remava compatto contro, stavolta sembra deciso a non farsi più frenare. Ribadisce la sua «lealtà» a Bersani e al suo tentativo di formare il governo, ma con molti dubbi sul possibile esito: «Faccio il tifo, ma Grillo continua a dire no quindi non sono ottimista». Se poi il segretario Pd fallirà, «giocoforza si andrà a votare, non è che si sta cinque anni con un governo Pd-Pdl o un governo di minoranza».
Bersani ieri ha riunito le sue truppe parlamentari, e davanti ai deputati e senatori Pd (in buona parte nuovi, e in larghissima parte di osservanza bersaniana) ha rivendicato la sua linea: «Lo so che la strada è stretta. Ma vorrei capire qual è più larga, nella situazione data». E ha mostrato qualche spiraglio di ottimismo, lasciando intendere che l'intenso pressing in atto verso il mondo grillino (vedi gli appelli di Repubblica) qualche varco lo starebbe aprendo, al di là dei niet del capo: «Dobbiamo dare il segno che non stiamo scherzando e credo che ci sia molta più comprensione sulla nostra proposta di quella che pensiamo».
Uno degli scenari che circolavano ieri, avallato da fonti bersaniane, era quello delle «astensioni incrociate»: al Senato il Pdl esce dall'aula, i grillini si astengono (che vale come voto contrario) e Bersani prende una fiducia di minoranza coi voti Pd e montiani. Non potrebbe governare, ma almeno guiderebbe lui il paese alle elezioni.
La trattativa «alla luce del sole» è aperta, e Bersani ha messo in campo una squadra di provata fede per portarla avanti, con i due ex vice-capigruppo Zanda e Calipari e con il fido Davide Zoggia. Incaricati di aprire il confronto con le altre forze politiche, grillini in testa (li incontreranno oggi), sulle presidenze delle Camere e delle commissioni parlamentari. L'ipotesi più probabile resta quella di una presidenza Pd alla Camera con Dario Franceschini, e di un uomo di confine tra Monti e il Pdl come Mario Mauro a Palazzo Madama, e un franceschiniano come Lapo Pistelli ieri ha avvertito: «Ci penserei due volte a offrire le presidenze a chi cerca di bloccare i tribunali o a chi crede che il parlamento sia una scatoletta di tonno».
Lo scetticismo attorno alle possibilità di riuscita del piano di Bersani (governo coi grillini o elezioni subito) è però assai diffuso. Ieri il vicesegretario Enrico Letta (dato in pole position come capogruppo, in alternativa al «giovane turco» Andrea Orlando) ha taciuto. Ma il lettiano Francesco Boccia ha perorato senza perifrasi la necessità di un «piano B»: «Abbiamo il dovere di dare un governo al Paese, non è in discussione il tornare alle urne. Dire “governo o elezioni”, significa concentrarsi sull'interesse non dell'Italia ma di un gruppo dirigente».

Un esponente parlamentare vicino a D'Alema, fuori dall'assemblea, assicurava che «Napolitano farà fare a Bersani un giro di prova, ma poi riprenderà in mano la matassa e un governo ci obbligherà a farlo», anche passando per le forche caudine di un accordo con il Pdl.

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